Page 267 - Nietzsche - L'apolide dell'esistenza
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a  mezzogiorno  andava  a  prendere  i  pasti  al  modesto
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                   albergo Alpenrose, una mezz’ora prima degli altri perché               questo era comprensibile a Sils dove non c’era nulla da
                   detestava la table d’hôte, la sua confusione, le conversa-             impraticabile, mezzo cieco com’era. Nella casa di Sils lo
                   zioni  inutili  e  preferiva  mangiare  da  solo  ordinando            sentivano camminare su e giù, per ore fino a notte inol-
                   quasi  sempre  lo  stesso  menu:  bistecca  al  sangue  con            trata parlando a voce alta ed è molto probabile che lo
                   piselli o spinaci, una grande omelette con marmellata di               stesso facesse a Nizza. Spesso si svegliava di soprassalto
                   mele, il tutto innaffiato da un bicchiere di birra cui finì            a notte fonda perché era stato illuminato da un’idea che
                   per rinunciare perché abolì totalmente gli alcolici e ogni             annotava su un taccuino che teneva accanto al letto.
                   tipo di eccitante («un bicchiere di vino o birra è più che               La scansione della giornata a Nizza era più o meno la
                   sufficiente  a  fare  della  mia  vita  una  valle  di  lacrime»       stessa, con qualche piccola variante. Qui mangiava alla
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                   scrive  in  Ecce  homo) .  Di  pomeriggio  faceva  lunghe              table d’hôte dato che non poteva fare diversamente per-
                   passeggiate, armato d’un bastone e del suo inseparabile                ché era a pensione, e la sera dopo cena se ne stava per
                   parasole grigio e bianco, di cotone, foderato di blu e di              un  paio  d’ore  nel  salone  dell’albergo,  seduto  sempre
                   verde. I tragitti erano sempre gli stessi, perché potesse              sulla stessa poltrona, scelta perché era posta sotto una
                   avventurarvisi con una certa sicurezza: la val di Fex, il              grande lampada munita di abat-jour, e leggeva il «Jour-
                   cui sentiero cominciava proprio dietro casa sua, la peni-              nal de debats», il suo quotidiano preferito che si faceva
                   sola  di  Chastè,  il  lago  di  Silvaplana.  Alle  volte,  sulla      arrivare  anche  a  Sils.  A  Nizza  passeggiava  un’ora  la
                   strada del lago, si fermava a chiacchierare con un prete,              mattina e tre al pomeriggio, sempre sullo stesso percor-
                   fervente hegeliano, oppure entrava in una casa di conta-               so  perché  non  c’erano  alternative  a  meno  che  non  si
                   dini dove facevano della polenta buonissima che mangia-                inerpicasse  nell’entroterra,  verso  Èze,  cosa  che  faceva
                   va sul posto, le fette che avanzavano le faceva incartare              raramente e solo in compagnia. Qualche volta la sera, e
                   e se le metteva in tasca per finirle la sera. Quando rien-             sempre  con  qualcuno,  si  faceva  portare  a  Montecarlo,
                   trava lavorava ancora per un paio d’ore. A volte faceva                non al Casinò ma a sentire un concerto. A Nizza i suoi
                   passeggiate più lunghe e allora si portava dietro le prov-             contatti  sociali  erano  ancor  più  ridotti  all’osso,  anche
                   viste e qualche libro che metteva in uno zainetto o in una             perché la Pension de Genève era frequentata soprattutto
                   borsa  di  cuoio  che  portava  a  tracolla.  Durante  queste          da inglesi che parlavano, come usano, solo la loro lingua
                   passeggiate  parlava  spesso  fra  sé  e  sé,  a  voce  alta,  per     che Nietzsche non conosceva.
                   fissare i propri pensieri che poi rielaborava con calma a                A Sils aveva invece rapporti anche con i locali, si fer-
                   casa.  Per  scrivere  doveva  inforcare  un  doppio  paio  di          mava spesso a chiacchierare al caffè col maestro di scuo-
                   occhiali. La sera cenava alle sette, in camera sua: «Qual-             la,  col  parroco,  col  medico  e  con  due  insegnanti  di
                   che fettina di prosciutto, due tuorli d’uovo e due pani-               musica, Fuchs e Lampe. Con questa gente ci stava vo-
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                   ni»  come riferisce alla madre che, da parte sua, lo rifor-            lentieri perché non lo assillavano con discussioni troppo
                   niva periodicamente di cibo e soprattutto di rabarbaro                 impegnative, mentre, in genere, si teneva alla larga dagli
                   a pezzi, di dolci e di miele di favo di cui era capace di              intellettuali  e  dai  professori  di  università.  Detestava  il
                   far fuori enormi fette in un solo giorno. Ci teneva molto              cicaleccio  pseudocolto.  Dal  medico  del  paese  andava
                   alla linea, aveva il terrore di ingrassare, ma ai dolciumi             anche  qualche  volta  a  farsi  visitare,  ma  pare  che  non
                   non sapeva resistere. La sera non usciva mai di casa e se              seguisse mai i suoi consigli. Un rapporto molto affettuo-




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