Page 21 - Nietzsche - L'Anticristo, Crepuscolo degli idoli, Ecce Homo
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che permane una completa aderenza alla vita, come negli animali: il distacco da questa
aderenza, implicito nella posizione morale, è nichilistico in primo luogo perché deprezza e
svaluta immediatamente ciò da cui si separa, cioè la realtà, anche quando esprime su di
essa un giudizio positivo. Il nichilismo è indipendente dalla positività o dalla negatività dei
giudizi: esso consiste nel movimento che si arroga una super-realtà da cui giudicare la vita,
e così limitarla, condizionarla, distruggerla. In un senso più profondo, questa super-realtà
è nichilistica nella sua sostanza stessa, perché sa benissimo di non potersi affermare e
mantenere a livello fattuale, empirico, vitale: essa si spaccia per ideale perché non è reale,
pone un al di là, perché non ha la forza di essere qui e ora, parla di una «vita vera»
trascendente o futura, perché è stata sconfìtta nell'unica vita esistente.
La morale nasce, secondo Nietzsche, dalla pretesa di conservare e di mantenere in vita ciò
che è stato condannato dalla storia, ciò che è «malato», «maturo per il tramonto», fallito sul
piano dei fatti, creando un nuovo ambito per definizione distinto dalla realtà, che è appunto
quello dell'ideale, del dover-essere, del valore: a questo viene così attribuita l'astrazione,
l'atemporalità, l'impersonalità, la validità universale. Con tali attributi la morale cerca di
tutelare e di sottrarre alla morte le esperienze che cessano di essere vitali: quando esse erano
davvero viventi, non c 'era alcun bisogno di affermarne il valore.
Nell'Anticristo Nietzsche prende in esame, per esempio, il concetto morale di Dio come
sommo bene e mostra che l'impostura e il nichilismo non consistono soltanto
nell'affermazione della sua esistenza, ma sono già impliciti nella sua concezione. Il suo
ateismo è perciò il più radicale che si possa immaginare, perché investe il concetto stesso
di Dio: «Noi neghiamo Dio in quanto Dio... Se ci dimostrassero questo Dio dei cristiani ci
sapremmo credere ancor meno» (par. 47). Il Dio originario degli Ebrei era l'espressione di
una naturale potenza del popolo ebraico: esso era perciò concepito antropomorficamente
come padre e re, potente e vendicativo. Quando questa potenza vien meno, invece di
abbandonarne il simbolo, i preti ebraici iniziarono un processo di moralizzazione e di
purificazione del concetto di Dio che trova il suo coronamento nel cristianesimo. Moralità
e purezza vengono attribuiti a Dio come reazione al fatto che esso non è più reale: il
concetto morale di Dio si fonda perciò sulla sua morte: «Il nulla divinizzato, la volontà del
nulla santificata in Dio!» (par. 18).
Il cristianesimo è, secondo Nietzsche, la prosecuzione e lo sviluppo dell'ebraismo: Paolo
di Tarso e i primi cristiani, non potendo sopportare la morte di Gesù, ne stravolgono
l'insegnamento in senso morale, introducendovi la prospettiva del peccato, della colpa,
dell'aldilà, che era estranea al Gesù storico: alla base del cristianesimo sta dunque un
risentimento nei confronti della realtà, della vita, dell'essere che si manifesta appunto nella
superfetazione morale che lo contraddistingue. Il cristianesimo è perciò la più nichilistica
di tutte le religioni: la sua origine sta nel progetto di spacciare la sconfìtta storica di Gesù,
la sua morte ignominiosa sulla croce, in una vittoria, in un «altro» mondo.
Perciò il cristianesimo e la morale sono connessi per Nietzsche con la debolezza, la
malattia, la decadenza: essi non sopportano la morte di Dio, il naturale declino ed
esaurimento delle esperienze, la fine di un'epoca, perché non sono in grado di creare realtà,
di dar vita ad esperienze originali, di inaugurare nuove età. Essi preservano un passato
privo di vita, perché non possono rinascere. Fintanto che le esperienze sono attuali, esse