Page 236 - Keplero. Una biografia scientifica
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precedente, nel 1621, a venticinque anni di distanza dalla prima

                edizione.

                   Nell’Epitome, sullo stesso piano di ragionamenti in cui oggi

                riconosciamo le prime intuizioni di concetti quali forza, inerzia

                o gravità, trova spazio una sorta di principio antropico, secondo
                il  quale  una  valida  giustificazione  al  moto  della  Terra  sta  nel

                fatto che questo  consente all’uomo  di trovarsi,  al variare  delle

                stagioni, in punti diversi del sistema solare, permettendogli di

                misurare i parametri degli altri pianeti. Per un motivo analogo,

                quello  cioè  di  consentire  all’uomo  di  osservare  le  eclissi,  e  di

                dedurre importanti proprietà sulla geometria della Terra e del

                sistema solare, il Sole e la Luna avrebbero determinate posizioni

                relative  e  dimensioni  tali  da  attribuir  loro  un  diametro

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                apparente sostanzialmente eguale .
                   Si tratta senz’altro dell’opera più voluminosa di Keplero, che

                fu infine ristampata in un unico volume, scritto minutamente,

                nel 1635. In esso il materiale è organizzato come un dialogo, e la

                foga di Keplero rende la forma talmente vivace da evitare ogni
                tono retorico, erudito o anche solo catechetico.

                   Il valore originale dell’Epitome non è stato riconosciuto nella

                storia dell’astronomia. Ulrich Junius, professore tedesco vissuto

                alcuni decenni dopo Keplero, scrisse che l’opera era un «tesoro

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                di erudizione inestimabile, non ancora sfruttato» .  Caspar,  in
                epoca  più  recente,  per  motivare  la  scarsa  attenzione  concessa

                all’opera, punta il dito contro la scelta del titolo, a suo parere

                troppo modesto e che poco lasciava intendere quanto di nuovo

                si celasse in essa. In effetti, in particolare nel v Libro, Keplero

                scrive  di  non  aver  fatto  altro  che  tirare  le  conseguenze

                dell’astronomia copernicana, attribuendo così un valore minimo
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