Page 7 - 101 storie di gatti
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                             MATOU, L’EGIZIANO




                             Eccoci in Egitto, dove il gatto veniva venerato come fosse un Dio.

          Il suo nome comune era Myou, che ci ricorda un po’ il suo dolce miagolio. Il nostro
          racconto ha inizio dalle gesta del coraggiosissimo e assai noto Matou. Un gatto che,
          secondo il Libro dei morti degli egiziani, ha combattuto e sconfitto Apophis, il

          serpente pitone delle paludi, simbolo delle forze malvagie che si scagliavano contro
          l’umanità. Non a caso da quel momento in poi il gatto è sempre stato considerato un
          nemico dei rettili in generale. Sembra quasi di vederla ancora oggi questa battaglia
          fra il gatto e il serpente piumato: Matou che si nasconde pronto ad attaccare non
          appena Apophis mette fuori la testa dalle acque melmose; il serpente che
          sinuosamente si nasconde fra i papiri e i canneti; il gatto che non demorde, immobile
          per ore con lo sguardo attento a tutto quel che accade; l’assalto finale con le unghie e
          i denti alla testa del serpente prima che possa sparire di nuovo nella palude.

              Un gatto eroe e, probabilmente, un eroe dal pelo scuro, perché secondo la
          laggenda Matou era un gatto nero: chi è superstizioso oggi crede che porti sfortuna,
          in particolare se ha l’insana idea di attraversare la strada davanti a noi (anche se in
          Inghilterra è vero il contrario). All’epoca dei Faraoni, invece, il gatto nero era
          associato alla dea Bastet, raffigurata con corpo di donna e testa di gatto, colei che

          rappresentava la vita, la fecondità e la maturità.
              Matou e Myou, dunque. I felini diventano di famiglia: quando il gatto moriva, gli
          egiziani gli riservavano tutti gli onori del caso, fornendogli anche dei topi
          mummificati che avrebbero dovuto sfamarlo durante il viaggio per l’Aldilà. E tra i
          reperti della storia egizia possiamo trovare accanto a una mummia e un sarcofago
          numerosi gatti neri mummificati. Compagno di vita dell’uomo, volto di una dea, ma
          anche un amico utilissimo: per uccidere i piccoli roditori che si infilavano nei silos

          pieni di grano, gli egiziani liberarono centinaia di gatti che divennero abilissimi in
          questa caccia, salvando così i loro raccolti. Anche per questo non stupisce che
          venissero considerati delle divinità: combattevano i serpenti e salvavano i raccolti.
          Diventarono poi i prediletti dai sacerdoti, e nei templi presero il posto che prima era
          delle leonesse. Per loro vennero anche organizzate imponenti feste religiose. Erodoto
          racconta che in un’occasione si radunarono oltre settemila persone, giunte da tutte le

          parti del regno, per festeggiare la dea Bastet. E durante la cerimonia, migliaia di gatti
          camminavano tra la folla ed erano amorevolmente accuditi dai sacerdoti. Tanta era
          la venerazione per il gatto che se qualcuno, anche per sbaglio, osava ucciderne uno,
          veniva condannato a morire. Diodoro di Sicilia racconta di un cittadino romano
          lapidato dal popolo egizio per avere ucciso involontariamente un gatto
          schiacciandolo sotto il suo carro. E il rispetto degli Egizi per i gatti era tale che
          costò loro più di una battaglia. Si narra – chissà se sia leggenda o verità – che nel
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