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PANGUR BAN, IL
COMPAGNO DEL MONACO
IRLANDESE
È il gatto più famoso d’Irlanda, di tutte le nostre storie e sicuramente del
Medioevo cristiano. Perché Pangur Ban non solo è realmente esistito, ma a lui il suo
padrone, un monaco amanuense che trascorreva ore e ore a copiare testi sacri, ha
dedicato una poesia che è considerata uno dei capolavori della lingua irlandese
antica. Immaginiamoci la scena: Irlanda, nell’VIII secolo d.C. Il giovane monaco ha
intinto la penna nell’inchiostro per tutto il giorno. È stanco, ma per fortuna con lui
c’è Pangur Ban, che gli tiene compagnia e gioca e corre per la stanza. Sul volto del
giovane amanuense si disegna un sorriso e la mano è finalmente libera di comporre
ciò che più preferisce.
Io e il mio gatto Pangur Ban / lo stesso compito eseguiam: lui a caccia di topi lieto corre incontro/io a caccia di
parole sto seduto notte e giorno. / È molto meglio di ogni onore ricevuto / con libro e penna starmene seduto; rancor
verso di me Pangur certo non ha/e del suo semplice mestier buon uso fa. / Che cosa felice vedere / quanta
riconoscenza per il nostro dovere Quando a casa seduti stiamo / e divertimento per le nostre menti troviamo. Un
topo smarrendosi finisce spesso / tra i piedi dell’eroico Pangur messo; spesso il mio pensier si tende, / un significato
nella sua rete prende. / Gli occhi posa lui contro il muro, / grande e grosso e scaltro e sicuro; contro il muro del
sapere metterò/a dura prova quel poco che so. / Quando un topo schizza fuori dalla tana / quanta gioia Pangur
emana! Oh, che delizia tocco con mano / nel risolver i dubbi che amo. Così lavoriamo in silenzio / Pangur Ban il
mio gatto ed io: nelle nostre arti troviamo la felicità / ciascuno di noi per la sua metà. Il costante allenamento ha
fatto / di Pangur un perfetto gatto; notte e giorno sapienza io apprendo / in luce l’oscurità volgendo.
Libro di Kells, Volgendo l’oscurità in luce,
Biblioteca del Trinity college, Dublino
Un gatto diventato famosissimo e un padrone rimasto ignoto: dell’autore della
poesia sappiamo solo che era scritta in gaelico, l’antica lingua dell’Irlanda nella
quale è redatto questo testo. Non ne conosciamo il nome perché l’opera non è firmata
e non sappiamo neppure perché quel copista decise di nascondere fra i pesanti tomi
letterari del monastero un poema dedicato al suo micio. Forse perché per la
stanchezza ha chiuso il librone e i versi sono rimasti lì, lasciando il loro inaspettato
segno nella storia.