Page 7 - A spasso con Bob
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Decisi allora di accarezzarlo sul collo, in parte per fare conoscenza e in parte per
          controllare  se  avesse  un  collarino  o  qualsiasi  altro  segno  di  riconoscimento.
          Un’impresa difficile, con quella poca luce, ma verificai subito che non c’era nulla,
          quindi non era un gatto domestico, ma uno dei tanti randagi in giro per Londra.

             Lui, nel frattempo, sembrava gradire le attenzioni e cominciò a strofinare la testa
          contro  le  mie  gambe.  Mentre  continuavo  ad  accarezzarlo,  mi  resi  conto  che  era
          malconcio: in alcuni punti il pelo era rado e in altri lasciava il posto a delle chiazze
          di pelle nuda.  Quel micio aveva chiaramente bisogno di un pasto abbondante e, a

          giudicare dal modo in cui faceva le fusa, anche di una buona dose di cure amorevoli
          e di affetto.
             «Povero piccolo, dev’essere randagio. Non ha il collare ed è tutto pelle e ossa»,
          dissi a Belle che mi stava aspettando pazientemente ai piedi delle scale.

             Mi conosceva bene e sapeva della mia passione per i gatti.
             «No, James, non puoi portarlo via», ribatté, mentre mi si avvicinava. «Non può
          essere  arrivato  qui  per  caso,  probabilmente  appartiene  a  qualcuno  che  abita  nel
          condominio. Forse sta solo aspettando che torni a casa il suo padrone e lo faccia
          entrare.»

             Anche se il cuore mi suggeriva diversamente, dovetti ammettere che Belle aveva
          ragione. Non potevo semplicemente prendere quella palla di pelo rossiccio e tenerla
          con me. Avevo traslocato da poco e dovevo ancora sistemare l’appartamento. E se

          poi il micio fosse stato proprio del tizio che viveva a pianterreno? Di solito la gente
          non si dimostra molto gentile con chi gli porta via il gatto, giusto?
             E comunque, l’ultima cosa di cui avevo bisogno in quel momento della mia vita
          era  un’ulteriore  responsabilità.  Ero  un  musicista  fallito,  ex  tossicodipendente,  che
          viveva  alla  giornata  in  una  casa  popolare.  Era  già  un’impresa  piuttosto  ardua

          prendermi cura di me stesso, figuriamoci occuparmi anche di un animale!
             La  mattina  seguente,  venerdì,  scesi  le  scale  e  trovai  che  il  gatto  era  ancora
          accoccolato sullo zerbino, immobile, come se nelle ultime dodici ore non si fosse

          spostato di un centimetro.
             Mi  inginocchiai,  lo  accarezzai  ed  ebbi  la  netta  impressione  che  mi  avesse
          riconosciuto,  perché  cominciò  subito  a  fare  le  fusa.  Non  aveva  ancora  deciso  se
          fidarsi di me al cento per cento, ma ero pronto a scommettere che gli piacevo.
             Alla luce del giorno mi resi conto che aveva un musino delizioso e due penetranti

          occhi verdi. Ma, ora che lo vedevo in piena luce, notai che era pieno di cicatrici
          sulle zampe e vicino al naso, come se si fosse azzuffato con altri gatti oppure fosse
          rimasto vittima di un incidente. Come avevo già intuito la sera precedente, il pelo era

          veramente in pessime condizioni, tanto da farmi sospettare che avesse la tigna. Ero
          preoccupato per lui, ma ancora una volta mi dissi che avevo troppe cose da risolvere
          nella  mia  vita.  Così,  a  malincuore,  uscii  dallo  stabile  e  mi  avviai  alla  fermata
          dell’autobus per raggiungere il centro di Londra dove suonavo per strada cercando
          di raggranellare qualche spicciolo.
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