Page 6 - A spasso con Bob
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                                                Compagni di viaggio
             QUALCUNO  di  famoso  ha  detto  che  la  vita  ci  offre  ogni  giorno  una  seconda
          possibilità: basterebbe allungare la mano e afferrarla al volo. Il guaio è che di solito

          non ce ne accorgiamo e ce la lasciamo scappare.
             Tutto ciò l’ho sperimentato sulla mia pelle: quante buone occasioni perse per un
          soffio…  Poi,  all’inizio  della  primavera  del  2007,  qualcosa  è  cambiato:  è  stato  il
          giorno in cui ho incontrato Bob. Ripensandoci, mi viene da dire che forse anche per

          lui il nostro incontro è stato la sua seconda occasione.
             Era un giovedì di marzo, una giornata piuttosto grigia e triste. Londra non si era
          ancora  scrollata  di  dosso  l’inverno  e  faceva  molto  freddo.  L’aria  era  pungente  e,
          dopo aver suonato e cantato tutto il giorno in strada dalle parti di Covent Garden,

          avevo  deciso  di  tornare  un  po’  prima  nell’alloggio  popolare  che  mi  era  stato
          assegnato a Tottenham, il quartiere periferico a nord della città.
             Di solito avevo per compagna solo la chitarra nella sua custodia nera e lo zaino,
          ma quel giorno con me c’era la mia carissima Belle. Anni prima stavamo insieme,
          ma  adesso  eravamo  solo  ottimi  amici.  Avevamo  pensato  di  comprarci  dello

          spezzatino al curry in una rosticceria lungo la strada e di andare da me a mangiarlo,
          per poi guardarci un film sul piccolo televisore in bianco e nero che avevo scovato
          in un mercatino.

             Come sempre l’ascensore era rotto, così ci avviammo verso le scale, rassegnati a
          salire a piedi i cinque piani.
             I neon erano bruciati e l’ingresso era quasi completamente al buio, ma, mentre mi
          accingevo a salire la prima rampa, notai nell’oscurità un paio di puntini luminosi che
          mi  fissavano.  Poi  udii  un  miagolio  sommesso  e  capii  al  volo  di  cosa  si  trattava.

          Avanzai a tentoni finché notai, sullo zerbino di uno degli appartamenti a pianterreno,
          una palla di pelo rossiccio.
             Sono cresciuto in mezzo ai gatti e ho sempre avuto un debole per loro. Quando

          riuscii a dargli un’occhiata più attenta, capii che si trattava di un giovane maschio.
             Non lo avevo mai notato prima d’allora nel caseggiato, ma nonostante l’oscurità,
          ebbi l’impressione che quel micio avesse qualcosa di speciale. Intanto non dava il
          minimo segno di paura o anche solo di nervosismo, perché restava fermo immobile
          su  quel  vecchio  zerbino.  A  colpirmi  fu  proprio  quella  calma  imperturbabile.

          Sembrava a suo agio in quell’androne squallido e buio e a giudicare dal modo in cui
          mi stava scrutando, con quegli occhietti curiosi e attenti, si sarebbe detto che ero
          stato io a invadere il suo territorio e non il contrario. Pareva quasi dirmi: Be’, e tu

          chi sei? Come mai da queste parti?
             Fu più forte di me. Mi inginocchiai e cercai di fare amicizia.
             «Salve bello. Non ci siamo mai incontrati prima, no? Abiti qui?»
             Mi guardò con la stessa espressione attenta, leggermente distaccata, come se si
          stesse ancora chiedendo se doveva o no dare confidenza a uno sconosciuto.
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