Page 56 - Poemi del Risorgimento
P. 56
e sul Palazio ignare le giovenche
pascevano, e la valle posta al piede
si mescolava d'un belar d'agnelli.
E se il pastore aveva udito un qualche
urlo di lupi, egli, racchiuso il gregge
in uno speco, s'addormìa tranquillo.
Veniva allora, per le tenebre, una
lupa, e fiutava il chiuso lupercale.
E Fauno, il buono, nelle selve ombrose
cantava il canto delle foglie ai venti,
invisibile. E sulle antiche quercie
picchierellando senza fine il picchio
sacro contava gli anni tanti, gli anni
tardi a venne.
LUPI E AQUILE
Aprile, che s'apriva
il fiore, venne, e il Tevere più gonfio
portava l'onde con un grande rombo:
e d'ogni parte sulle piane e i colli
arsero fuochi nella notte sacra.
Tutto splendé. Fiamme correva il fiume.
Però che, intorno, alle selvaggie stanze
fuoco i pastori davano, mutando
già le capanne, d'erbe e frasche, in case.
E poi saltando sulle fiamme, un canto
diceano, sacro: «Fuoco puro, Fuoco
grande, buon Fuoco, che ammollisci e domi,
portati via queste capanne, portati
via questi nidi! Noi non siamo uccelli,
lupi noi siamo. Addio, cose d'un'ora!
Siamo per fare una città ch'eterna
56