Page 6 - Poemi conviviali
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(...) un arcade. La mia, oltre che finzione sarebbe anche sdolcinatura e
                           mascolinatura, destinata a produrre, se non si castiga a tempo, gli effet-
                           ti più deleteri nell'organismo nazionale. Consimili, chiedo io, a quelli
                           che ha prodotti nel Giappone la contemplazione ingenua degli uccelli e
                           dei fiori? la predilezione per la piccola casa e il piccolo orto e il sem-
                           plice e puro tatami? Sciocchi! Io non credo troppo nell'efficacia della
                           poesia, e poco spero in quella della mia; ma se un'efficacia ha da esse-
                           re, sarà di conforto e di esaltazione e di perseveranza e di serenità. Sa-
                           rà di forza; perché forza ci ho messo, non avendo nel mio essere, sem-
                           plificato dalla sventura, se non forza, da metterci; forza di poca vista,
                           bensì, e di poco suono, perché, senza gale e senza fanfare, è non altro
                           che forza.
                              Dunque,  nemmeno  allora  io  era  chiuso  in  un  «giardino solitario»,
                           sebbene fossi molto segregato e lontano e oscuro. Quando mi chiamaste
                           tra quelle «energie militanti» tu e Gabriele d'Annunzio.
                              O mio fratello, minore e maggiore, Gabriele!
                              Già sette anni prima Gabriele aveva scritto, intorno ad alcuni miei
                           sonetti, parole di gran lode. Già entrando nella mia Romagna, a caval-
                           lo, col suo reggimento, cantava (e lo diceva al pubblico italiano) certi
                           miei versi:

                                                 Romagna solatìa, dolce paese!



                           poesia ingrandisce straordinariamente una parvenza, proclamano che quell'altro vero
                           poeta  pecca  di  secentismo:  ecco  gl'intendenti  scioccheggiano  e  pedanteggiano  nello
                           stesso  tempo.  Qualunque  soggetto  può  essere  contemplato  dagli  occhi  profondi  del
                           fanciullo interiore: qualunque tenue cosa può a quegli occhi parere grandissima. Voi
                           dovete soltanto giudicare (se avete questa mania di giudicare), se furono quegli occhi
                           che videro; e lasciar da parte secento e arcadia.»
                            E anche: «E le scuole ci legano. Le scuole sono fili sottili di ferro, tesi tra i verdi mai
                           della foresta di Matelda: noi, facendo i fiori, temiamo ad ogni tratto d'inciampare e di
                           cadere. L'ho già scritto: se uno si abbandona alle delizie della campagna, teme che lo
                           chiamino arcade...»
                            Ma io lascierò dire.

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