Page 7 - La mirabile visione
P. 7
o Ravenna!
o mia città paterna, tu non sai forse nemmeno chi io mi sia; chi
sia questo tuo figlio che t'offre il suo umile libro. È un uomo esso,
per dirtene alcunchè, nè tristo ora nè lieto, nè noto nè ignoto, che
soffrì, nella prima e solo bella parte della vita, molta sventura, la
quale ogni tanto gli si fa sentire tuttavia, come appunto questo
vento, avanzato a una grande tempesta notturna, che, mentre egli
scrive, passa a quando a quando con alcuna sua raffica, e rugge.
Chè egli adesso abita qui, di fronte al lido che primo si chiamò
Italia; tra l'Aspromonte e il Peloro, tra l'Ionio e il Tirreno: ma ti
nacque non così lontano, in un castello di quei Malatesta ai quali
tu fornisti una donna da amare e uccidere. Nacque dunque in quel
castello, e soffrì, e s'accomodò a vivere alla meglio; e ha bell'e
finito. Del resto l'uomo è tranquillo nel suo cuore: non desidera
ormai aver dalla fortuna più sorrisi di quelli che ha avuti, pochi e
sforzati; perchè invero non della ventura egli è ormai amico, sì
d'un'altra, dell'altra, di quella che bea ma vuol esser sola.
A te, città silenziosa, questo libro: al quale che cosa posso e
debbo augurar di meglio, che il sacro silenzio, migliore, non solo
delle contumelie, ma anche, e specialmente, delle acclamazioni?
Il libro parla di Dante fiorentino e della Comedia sua ravennate;
di quello spirito e di quel poema i quali io sento che avrebbero a
essere più vivi nella nostra vita moderna, di quel che consentano
coloro che pur li studiano e cercano col solo grande amore che si
ha per le grandi, o anche piccole, rovine. Io, per esempio, ho
imparato dal nostro Poeta, qual sia la libertà che bisogna
impetrare a sè e predicare agli altri, se si vuol essere veramente
liberali: è la libertà del volere, che è inceppato, per qual ragione
si può discordare, ma che e il poema antico e tanti libri nuovi
7