Page 38 - Il fanciullino
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Bene! Dunque riassumo, come uomo serio che sono. La poesia, per
ciò stesso che è poesia, senz’essere poesia morale, civile, patriottica,
sociale, giova alla moralità, alla civiltà, alla patria, alla società. Il poeta
non deve avere, non ha, altro fine (non dico di ricchezza, non di gloriola
o di gloria) che quello di riconfondersi nella natura, donde uscì, lascian-
do in essa un accento, un raggio, un palpito nuovo, eterno, suo. I poeti
hanno abbellito agli occhi, alla memoria, al pensiero degli uomini, la
terra, il mare, il cielo, l’amore, il dolore, la virtù; e gli uomini non sanno il
loro nome. Ché i nomi che essi dicono e vantano, sono, sempre o quasi
sempre, d’epigoni, d’ingegnosi ripetitori, di ripulitori eleganti, quando
non siano nomi senza soggetto. Quando fioriva la vera poesia; quella,
voglio dire, che si trova, non si fa, si scopre, non s’inventa; si badava
alla poesia e non si guardava al poeta; se era vecchio o giovane, bello
o brutto, calvo o capelluto, grasso o magro: dove nato, come cresciuto,
quando morto.
Siffatte quisquilie intorno alla vita del poeta si cominciarono a narra-
re a studiare a indagare, quando il poeta stesso volle richiamare sopra
sé l’attenzione e l’ammirazione che è dovuta soltanto alla poesia. E fu
male. E il male ingrossa sempre più. I poeti dei nostri tempi sembrano
cercare, invece delle gemme che ho detto, e trovare, quella vanità che
è la loro persona. Non codesta quei primi. E tu, o fanciullo, vorresti fare
quello che fecero quei primi, col compenso che quei primi n’ebbero;
compenso che tu reputi grande, perché sebbene non nominati, i veri
poeti vivono nelle cose le quali, per noi, fecero essi.
È così?
Sì.
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