Page 91 - Oriana Fallaci - La vita è una guerra ripetuta ogni giorno
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negli anni a venire e non avrebbe potuto succedere senza di me, cioè se io non fossi
stata lo strumento e il veicolo del tuo destino già scritto. C’era la sconfitta nata con
te, la maledizione che ti avrebbe perseguitato fino a una notte di primo maggio per
scaraventarti dentro un buco nero di via Vouliagmenis, lo scivolo di un garage con la
scritta Texaco. E poi c’erano le agonie, le servitù che mi avresti inflitto riducendomi
a un Sancho Panza col suo asinello, rubandomi alla mia identità, alla mia vita. Guai,
ad accettare il tuo amore ed amarti: lo seppi con certezza, in un lampo. E subito mi
liberai del tuo abbraccio, della tua bocca, di te, mi precipitai nell’altra stanza,
riempii alla rinfusa la borsa da viaggio, chiamai Andrea, gli chiesi se poteva
accompagnarmi all’aeroporto: doveva esserci un volo verso le cinque, con un po’ di
fortuna sarei riuscita a prenderlo, bastavano dieci minuti? «Bastano» rispose Andrea
scattando. Ritto contro il muro, le mani in tasca e un sorriso enigmatico sotto i baffi,
tu seguivi la scena in silenzio e non facevi nulla per fermarmi o calmarmi. Solo dopo
che ebbi salutato tua madre esclamasti: «Vengo anch’io». Quindi mi conducesti
all’automobile dove mi sedesti accanto, composto: «Andiamo». Non dicesti altro per
tutta la strada, e neanch’io del resto aprii bocca. Sembrava che non ci fosse più nulla
da dire. Giunta all’aeroporto scesi, salutai Andrea, ti strinsi la mano, mi stringesti la
mano, e: «Ciao, iassu». Ma avevo fatto pochi passi che la tua voce si levò, secca
come un ordine: «Agàpi!». Mi voltai. La tua destra sporgeva dal finestrino con
l’indice e il medio levati a segno di V, e sul tuo volto tremava un’ironia affettuosa.
«Tornerai! Vincerò! Tornerai!» 18