Page 9 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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palestinesi, erano fuggiti o erano stati cacciati […] ammassati come le
pecore nei campi-profughi […] sradicati, umiliati, spogliati d’ogni
possesso e d’ogni diritto: i nuovi ebrei della Terra».
Arriva così la Fallaci nelle basi dei dayn, armata di questa
convinzione, obbligata, persino contro il suo amore per Israele, dalla
necessità di raccontare i diseredati della Terra, addirittura «i nuovi ebrei
della Terra».
Sono stata lunga, mi rendo conto, nel raccontare a mia volta quel
viaggio notturno. Ma senza de nire nettamente, solidamente, questo
inizio di viaggio, non riusciremmo a capire il percorso, durato quasi
mezzo secolo, di questa giornalista. Un percorso che è il nostro stesso, che
lei ha accompagnato, illuminato, e a volte cambiato.
Oriana per molti, molti anni ci darà queste immagini ravvicinatissime
di volti di palestinesi. Combattenti con ke ah, volti dolci o ambigui, volti
di contadini o ex studenti di ingegneria. Ci parlerà di donne – quelle
so sticatissime vestite Dior delle classi alte ma non meno «resistenti», e
quelle che si sposano bambine «coperte da un pesante vestito rosso in cui
si muove lentamente come un fagotto», quelle che fanno della loro
partecipazione militare il terreno di personale emancipazione, e le
terroriste dall’apparenza di monache e la violenza delle dannate.
Nello stesso tempo attraverserà idealmente, oltre che sicamente, le
frontiere e darà lo stesso ritratto degli israeliani. Con lo stesso tratto
dolente con cui ritrae i dayn, sul cui viso vede già la morte, ascolta le
testimonianze sconvolgenti degli atleti che sono sopravvissuti alla strage
di Monaco, raccogliendone le confessioni più dolorose: «Sì, sono scappato
e non ho nemmeno pensato che mi lasciavo dietro gli altri», o le più
politicamente dure: «Ma i tedeschi sono paci sti o che altro? A noi certo
non ci hanno difeso per nulla».
Racconta con la stessa dolorosa veridicità il diniego dei palestinesi di
fronte alle loro missioni assassine: «Sì, non mi importa di uccidere dei
bambini israeliani», e la di coltà degli ebrei (spesso ascolta gli italiani)
europei che hanno avuto meno problemi a decidere di lasciare il loro
paese per Israele, che ad aggiustarsi alla vita non borghese dei kibbutz.
Un quadro in cui tratta tutti, e soprattutto la enorme tragedia che
avvolge tutti come una nube, con una miracolosa equanimità. La sua voce
fra la ne degli anni Sessanta e inizi Settanta è chiara, si inserisce come
voce ragionante, non solo narrante: Oriana parla, difende la democrazia
occidentale, la sua storia e i suoi valori. Ma non c’è Rabbia. Ancora.
La Rabbia in verità si insinua lentamente nel discorso che la Fallaci
sviluppa con questo mondo. La Rabbia è glia della profondità della
conoscenza che si accumula, e anche della piega che le cose prendono. In