Page 11 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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Con Habash per la prima volta ascoltiamo la retorica che ci sarà poi
così nota nei nostri giorni: «I nostri nemici sono tutti coloro che aiutano
Israele», dunque l’intera Europa. E tutte le altre nazioni che i terroristi
sceglieranno di colpire. Non abbiamo fatto molti passi avanti, rispetto
alle teorie oggi dell’Isis, vero?
Questi sono gli allarmi che allertano Oriana. La politica è una cosa. La
vita umana è altro, dice la sua coscienza.
Da lì parte un altro percorso della storia araba. Che lei ritroverà poi in
Khomeini, in un dialogo del 1979, in cui coglie allo stato nascente
l’assolutismo della teocrazia che metteva radici in Medio Oriente.
Il percorso di cambiamento investe anche Israele, sempre più
militarista. Processo ssato da Oriana in una intervista guascona e quasi
allegra datale da un Ariel Sharon che si gloria della invasione del Libano,
che, pure, ha lasciato sul terreno ben due massacri, Sabra e Chatila:
«Volevo che andassero via i palestinesi e l’ho ottenuto. Arafat dica quel
che gli pare: non conta».
Son tutte gure possenti, persino quelle degli scon tti come lo scià di
Persia che sostiene che l’Iran è una grande democrazia proprio mentre il
mondo sta già per mollarlo. Persino quelle degli incassatori, come il re
Hussein di Giordania, che Oriana vede due volte: nel 1970, a poche
settimane dal Settembre Nero, e poi ancora nel 1974, schiacciato sotto
accuse di loccidentalismo, trattato da servo degli americani e di Israele.
La seconda intervista comincia così: «È quasi una crudeltà intervistare
oggi re Hussein».
Ma la gura più mitologica, quella che si staglia al di sopra di tutto
questo accadere, calma come si addice a un semi-dio, è alla ne Ahmed
Zaki Yamani, ministro del petrolio saudita. È il meno arabo di tutti, con la
sua laurea ad Harvard, i suoi modi insistentemente occidentali, il suo
humour sulla ricchezza: «Cosa possiamo farcene del denaro, dopotutto, se
non spenderlo da voi in Europa e in Occidente?».
È una galleria di doppiezze, ambiguità, e assenza di scrupoli. È
nell’insieme il ritratto di uno sfacciato desiderio di s da e dominio. In cui
il controllo del mondo arabo si rivela non sufficiente.
Lette quelle interviste con il senso di oggi, di quello che è accaduto, vi si
può già vedere, in tanti diversi modi e linguaggi, il futuro. Un futuro in
cui la prossima preda – e la più ambita – siamo noi. Noi occidentali.
Oriana ha a rontato la guerra tra il mondo occidentale e il mondo
islamico senza mezzi termini, senza concessioni, con ferrea semplicità.
Capire lei oggi è capire anche il segno di questo suo successo incredibile.
Che è poi la storia resasi esplicita in tutta la sua drammaticità quell’11
settembre del 2001, che svegliò tutti noi a una vicenda che ci appariva