Page 10 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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un  pugno  di  anni,  infatti,  la  reazione  di  un  popolo  alla  cacciata  dalla
          propria terra perde forza romantica e si riveste, piano piano di intrigo,

          denaro e, soprattutto, orrore.
             È il momento in cui la causa palestinese volge al terrorismo, la reazione
          di  Israele  diventa  sempre  più  militarizzata,  e  l’intero  mondo  arabo  si
          contorce  e  divide  in  guerre  intestine  –  dal  Settembre  Nero  scatenato  in
          Giordania  da  re  Hussein,  all’appoggio  al  terrorismo  della  Siria  e  della

          Libia  di  Ghedda ,  alla  uccisione  di  Sadat,  alla  rivoluzione  di  Khomeini.
          Una evoluzione che fa da specchio e da spalla a una evoluzione militarista
          di Israele  no alla invasione del Libano nel 1982 delle truppe guidate dal

          generale Sharon.
             È una evoluzione degli eventi che Oriana intuisce, come una forma di
          odore umano che respira dai corpi di chi intervista. È nel dialogo con i
          leader  politici  infatti  che  matura  l’altro  volto  del  racconto  del  Medio
          Oriente,  quello  in  cui  emerge  il  linguaggio  più  netto,  più  provocatorio,

          più fallaciano diremmo. Sono le sue famose interviste.
             L’arte  in  cui  eccelle  Oriana.  Interviste  non  a  caso  irripetibili  proprio
          perché sono la disamina, meglio la dissezione, del Potere.

             C’è  ad  esempio  un  gruppo  di  questi  dialoghi  tutti  del  1970.  Anzi,
          dobbiamo  speci care,  tutti  della  primavera  del  1970.  Anno  fatale.  Si
          concluderà nel bagno di sangue del famoso Settembre Nero, mese in cui il
          re di Giordania decide la espulsione militare dei palestinesi dal suo paese.
          Una  decisione  che  spacca  il  mondo  arabo,  che  avvia  la  dispersione

          dell’OLP e delle altre organizzazioni palestinesi. Da allora le cose per la
          guerriglia palestinese prenderanno una nuova strada.
             Nella primavera del 1970 le decisioni che stanno maturando ad Amman

          e in altri paesi siedono sulla testa e sulla psiche di quel mondo come una
          nube.  C’è  un’aria  di  incertezza,  di  sospetti,  di  intrighi.  Incontriamo  in
          questa nube Yassir Arafat, di cui Oriana traccia il ritratto rimastogli poi
          incollato per sempre: piccolo di statura e di mani e piedi, un volto famoso
          come  quello  di  un  divo  che  «si  riassume  tutto  in  una  gran  bocca  dalle

          labbra  rosse  e  cicciute».  È  un  leader  evasivo,  incline  a  dire  bugie
          ricoprendole  con  a ermazioni  politiche  eccessive  («I  con ni  non  hanno
          importanza, solo l’unità araba»), mai capace di alcuna simpatia umana,

          salvo il fraseggiare: «Ho sposato la Palestina».
             A  fronte  di  questo  freddo  carattere,  le  interviste  ad  altri  due  uomini
          grondano di passione. Faruk El Kaddoumi, cervello di Al Fatah, e George
          Habash,  capo  del  Fronte  Popolare,  hanno  passione  da  vendere.  Ma  nel
          primo è densa di cinismo, nel secondo, che guida una organizzazione che

          ha  scelto  la  tattica  degli  attentati  contro  aerei  e  obiettivi  civili  in  tutta
          Europa, si tratta di una malnascosta passione per la disumanità.
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