Page 7 - Oriana Fallaci - Le radici dell'odio. La mia verità sull'Islam
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All’inizio non c’era Rabbia. C’era già sì, e tanto, Orgoglio. Ma Rabbia
          no.

             Come  sia  maturata  una  giovane  giornalista,  avventurosa,  curiosa,
          coraggiosa, ma soprattutto equanime, in una donna anziana oppressa da
          una  immensa  premonizione  di  sventura,  dal  senso  della  indi erenza
          altrui; come la giornalista sia diventata una visionaria sacerdotessa; come
          insomma l’Orgoglio si sia evoluto in Rabbia: questa è la storia narrata in

          questo libro, la storia di Oriana e, non ultimo, la storia dei tempi in cui
          abbiamo vissuto noi tutti.
             «Partimmo di notte da Amman. La notte era limpida e fredda, ottima

          per  i  bombardamenti,  l’aria  tremava  di  mille  minacce.»  È  l’inizio  del
          viaggio  che  porta  nel  1970  la  giornalista  Fallaci  e  il  suo  fotografo
          Moroldo  verso  la  valle  del  Giordano,  diventata  da  poco  fronte  della
          guerra fra Israele e una nuova razza di militanti, i  dayn palestinesi. Ma
          potremmo  anche  considerare  questo  l’inizio  del  viaggio  che

          intellettualmente  avvia  il  percorso  della  giornalista  italiana  –  allora
          quarantenne – verso uno dei fronti che più segneranno la sua ricerca, e a
          cui più sarà – per una serie di giravolte della storia ancor prima che per

          sua scelta – legato il suo nome.
             Oriana arriva in Medio Oriente dal Vietnam. Cioè da una grande storia,
          la più grande della sua epoca. La maggiore, ammirata e odiata, Potenza
          mondiale, gli Stati Uniti, si sono impelagati contro ogni ragione e senso
          della  geopolitica  in  una  guerra  contro  un  nemico  che  è  il  loro  esatto

          opposto – un esercito di guerriglieri piccoli, scuri, scarsamente armati ma
          fortemente  motivati.  È  Davide  contro  Golia,  è  Capitalismo  contro
          Comunismo, è Potenza tecnologica contro Astuzia Umana. Il Vietnam è lì

          a de nire i tempi, è il perfetto simbolo di dove si voglia o si possa stare
          nel  dopoguerra  a uente  ma  inquieto  dell’Occidente.  Il  Vietnam  è
          de nitorio di ogni cosa in quei tempi: non c’è presidente Usa non toccato
          dalla  responsabilità  (democratico  o  repubblicano),  non  c’è  premier
          mondiale che non vi misuri la sua abilità politica, non c’è uno studente

          che  non  ne  abbia  una  opinione,  e  non  c’è  giornalista  che  non  voglia
          andarci. Il Vietnam è un metro di misura per tutti, ma specialmente per
          un giornalista – non sei un vero corrispondente  no a che non sei stato in

          quel luogo, in quelle foreste umide, non hai sentito il terrore e la forza dei
          rotori di un elicottero americano che viene a prenderti o ti spara.
             Oriana nasce lì. La Oriana-mito. È donna, è piccola, è in mezzo a quella
          guerra. La sua foto con la divisa e le treccine sotto il casco mentre fugge
          verso un rifugio de nisce l’immaginario di migliaia di giovani donne che

          preparano, rivoltano, e ridefiniscono gli anni Sessanta e sé stesse.
             Il Vietnam è un grande a resco, è una possente storia. Rispetto a cui
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