Page 59 - Pablo Picasso
P. 59

Benet  Soler  Vidal  era  un  sarto  alla  moda  a  Barcellona,  amico  e
           mecenate degli artisti che frequentavano il caffè Els Quatre Gats e noto
           in  città  per  la  sua  particolare  eleganza.  E  proprio  così  lo  descrisse

           Picasso:  come  un  malinconico  dandy.  Ancora  una  volta,  la  forza
           mistica del blu viene impiegata per trasportare il soggetto dal contesto

           mondano  in  cui  vive  in  una  dimensione  che  meglio  si  addice  al  suo
           nobile  contegno.  Picasso  circonfuse  Soler  di  una  luce  cosmica,
           mutando il suo viso dai tratti fini in una sorta di pallido corpo celeste

           pressoché privo di colori vivi. L’intenzione artistica di Picasso prende
           chiaramente  il  sopravvento  sulla  effettiva  psicologia  del  modello;  il

           Ritratto  di  Soler,  però,  è  significativo  in  quanto  rivela  la  ricerca,  da
           parte dell’artista, di un tipo fisico che esprima sensibilità interiore. In

           questo  senso,  il  ritratto  dell’Ermitage  domina  la  serie  di  indubbi
           capolavori realizzati nell’autunno 1903, tra i quali il Vecchio ebreo con

           ragazzo.
              Il contatto con la realtà esterna dà consistenza al tema dell’infelicità
           dell’uomo per mezzo di immagini drammatiche di povertà e infermità:

           la mancanza di un tetto, la fame, la vecchiaia e la cecità. Molti autori
           hanno  osservato  che  la  vista  di  mendicanti  e  invalidi  era  un  evento

           assai frequente nella Barcellona a cavallo del 1900, e che Isidro Nonell,
           artista amico di Picasso, era già stato attratto verso soggetti analoghi,

           con  la  loro  particolare  e  tetra  atmosfera  da  “España  negra”.  Picasso,
           però,  tocca  una  nota  più  acuta  di  quella  segnata  sullo  spartito:

           l’infermità  fisica  gli  interessa  solo  come  metafora  della  spiritualità
           affinata dalla sofferenza.
              L’immaginaria  “tribù  sisifea”  di  Picasso  dell’inverno  parigino  del

           1902-03  era  solida,  “dorica”  nelle  sue  proporzioni,  a  incarnare  le
           origini epiche e il carattere massiccio di quelle figure; ora, nell’autunno

           del  1903,  a  Barcellona,  il  suo  gusto  per  le  linee  pure,  incorporee  e
           allungate  (soggiogato  dal  loro  musicale  interagire,  Picasso  traccia
           un’infinità di schizzi di nudi, di gesti, di pose, di profili) dà origine alle

           figure  manieristiche  e  dimesse  che  ad  alcuni  studiosi  ricordano  El
           Greco, Morales, gli affreschi romani e i rilievi catalani. Altri studiosi

           mettono  in  relazione  il  nuovo  stato  d’animo  dell’artista  con  le  idee
           filosofiche  di  Nietzsche,  allora  piuttosto  popolare  tra  i  simbolisti

           barcellonesi,  riguardo  alla  «nascita  della  tragedia  dallo  spirito  della
   54   55   56   57   58   59   60   61   62   63   64