Page 57 - Pablo Picasso
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in cui Picasso, come osserva Daix, ambiva ad attingere la fusione di
           forma e idea, ma i suoi esperimenti non furono compresi dalla cerchia

           dei suoi più intimi amici di Barcellona.
              Di  questo,  Picasso  si  lamenta  in  una  lettera  (già  menzionata  in
           riferimento alle Due sorelle) inviata a Max Jacob, a Parigi, osservando

           con ironia che i suoi amici – artisti locali – trovano, nella sua opera,
           troppa anima e nessuna forma.

              Il fatto che Picasso si rivolga in cerca di comprensione al suo primo
           amico  di  Parigi,  che  tra  l’altro  è  poeta  (si  conobbero  alla  mostra  da
           Vollard nel 1901 e si intesero subito molto a fondo), spiega almeno in

           parte il suo ritorno, nell’ottobre 1902, a Parigi, dove visse in povertà
           con  Max  Jacob.  Dopo  aver  sofferto  il  freddo  per  tre  mesi,  lasciò  la

           capitale francese nel gennaio 1903. «Un periodo di freddo terribile, di
           privazioni  e  di  disgusto.  Soprattutto  disgusto»,  riferisce  Sabartés.  «È

           questo  che  ricorda  con  la  più  grande  ripugnanza:  non  per  via  della
           durezza  e  delle  privazioni  materiali,  bensì  per  via  delle  umiliazioni

           inflittegli  da  certi  amici  catalani  che  vivevano  a  Parigi  in  condizioni
           migliori  delle  sue.»[40]  Tuttavia,  anche  questo  soggiorno  a  Parigi,
           come i precedenti, introdusse elementi nuovi nell’arte di Picasso.

              In  netto  contrasto  con  le  terribili  condizioni  di  vita,  nel  corso
           dell’inverno 1902-03, l’immaginario dell’artista viveva nel regno della

           «pura e semplice umanità» (Daix: «d’une humanité pure et simple»), in
           un mondo di pastori e pescatori che conducono una vita dura e frugale,

           ma  che  riflettono  un  eroico  stoicismo.  Questo  mondo  maestoso  di
           filosofica  chiarezza,  di  placida  saggezza,  di  emozioni  semplici  e

           potenti,  di  onnicomprensiva  spiritualità  della  natura  sembra
           riecheggiare la musica di un mito antico, nato dagli ideali di un Puvis
           de Chavannes, di un Gauguin o di un Alfred de Vigny, ma anche dalle

           memorie  personali  di  Horta  de  Ebro  risalenti  a  soli  quattro  anni
           prima[41] (si vedano La venditrice di vischio e Testa di picador).

              Non avendo i mezzi, a Parigi, per dipingere a olio, Picasso eseguì dei
           disegni (si veda Uomo a braccia levate), e quando a Barcellona tornò a
           dedicarsi  alla  pittura  la  sua  nuova  esperienza  grafica  si  manifestò

           nell’accresciuta  attenzione  riservata  ai  problemi  dello  spazio,
           dell’anatomia  umana,  dei  tratti  reali  delle  sue  figure,  la  cui  gamma

           appare assai più ampia rispetto al 1902. Nelle opere più significative
           della prima metà del 1903 – Poveri sulla spiaggia (La tragedia),  La

           Vie  e  l’Abbraccio  –  Picasso  sviluppò  i  temi  universali  (tipici  del
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