Page 28 - Pablo Picasso
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Munch, di Ibsen e di Carrière.
              La  marcata  somiglianza  tra  Gli  ultimi  momenti,  di  ispirazione

           simbolista,  e  Scienza  e  carità,  dipinto  eseguito  da  Picasso  ai  tempi
           dell’Accademia, non è affatto casuale. Malgrado la sensibilità giovanile
           per  il  tema  della  morte,  l’incarnazione  quasi-decadente  che  trova  in

           quest’opera  crea  piuttosto  l’impressione  di  un’esercitazione  astratta,
           come  molte  altre  opere  create  da  Picasso  nello  stile  modernista

           catalano.  Il  decadentismo  era  estraneo  a  Picasso,  che  guardava
           immancabilmente  a  esso  con  aria  di  perplessa  ironia,  come  a  una
           manifestazione  di  debolezza  e  di  mancanza  di  vitalità.  Picasso

           attraversò il modernismo troppo rapidamente e, dopo averlo esaurito, si
           ritrovò in un vicolo cieco, senza futuro.

              Fu Parigi a salvarlo, e dopo avervi trascorso due sole stagioni scrisse
           all’amico francese Max Jacob, nell’estate del 1902, di come si fosse

           sentito  isolato  tra  i  suoi  compagni  di  Barcellona,  “pittori  locali”
           (Picasso sottolinea con scetticismo queste parole nella sua lettera) che

           scrivevano  “libri  bruttissimi”  e  dipingevano  “quadri  idioti”.[17]
           Picasso arrivò a Parigi nell’ottobre 1900 e andò a vivere in uno studio
           di Montparnasse, dove rimase fino alla fine dell’anno. Benché i suoi

           contatti  si  limitassero  alla  comunità  spagnola,  e  sebbene  guardasse
           involontariamente  a  ciò  che  lo  circondava  con  gli  occhi  di  un

           curiosissimo  straniero,  Picasso  trovò  immediatamente  e  senza
           esitazioni  i  soggetti  per  lui  più  congeniali  e  divenne  un  pittore  di

           Montparnasse.
              Una lettera firmata da Picasso e dal suo inseparabile amico, nonché

           artista e poeta, Carlos Casagemas reca la data del suo diciannovesimo
           compleanno  (25  ottobre  1900).  Scritta  pochi  giorni  dopo  l’arrivo  di
           Pablo  a  Parigi,  dà  conto  della  vita  che  conducono  nella  capitale

           francese:  i  due  informano  un  amico  barcellonese  dell’intenso  lavoro
           che  li  occupa;  della  loro  intenzione  di  esporre  dipinti  al  Salon  e  in

           Spagna;  della  loro  frequentazione  notturna  di  caffè-concerto  e  teatri;
           descrivono le loro nuove conoscenze, i loro passatempi, il loro studio.
           La lettera trasuda entusiasmo e comunica un’inebriante passione per la

           vita: «Se vedi Opisso, digli di venire, perché gioverà alla salvezza della
           sua  anima;  e  digli  anche  di  mandare  al  diavolo  Gaudí  e  la  Sagrada

           Familia [...] Qui ci sono veri maestri dappertutto».[18]
              Gli  enormi  spazi  espositivi  dedicati  alla  pittura  dalla  Esposizione

           Universale  (il  numero  79  della  sezione  spagnola  era:  Pablo  Ruiz
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