Page 150 - Pablo Picasso
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La formazione di questo nuovo spirito creativo è accompagnata da un

           rinnovamento  dei  mezzi  espressivi  stessi  e  dalla  comprensione  della
           loro purezza e della loro potenza. A poco a poco, il cubismo di Picasso
           libera la pittura dalla finzione ottica, per farne un linguaggio plastico

           adatto  alla  creazione  delle  metafore  visuali,  per  tramutarlo  nel
           linguaggio  della  poesia.  Le  differenze  stilistiche  (le  contraddizioni,

           persino) tra le opere dell’autunno 1908 e quelle della primavera 1909,
           esaminate  in  precedenza,  rispecchiano  la  mancanza  di  qualsiasi
           direzione  evolutiva  negli  esordi  del  cubismo  di  Picasso  (in  questo

           senso, Braque dimostra una maggiore linearità e coerenza, ma anche un
           maggior  formalismo).  Evidentemente,  in  questo  periodo,  il  tema

           continua  a  essere  l’impulso  motivante  della  sua  arte,  anche  se  non
           sempre si presta a un’espressione verbale. «Se è vero che i soggetti che

           ho voluto trattare hanno suggerito ipotesi interpretative diverse, io non
           ho mai avuto esitazioni nell’adottarli.»[94]

              L’evoluzione del cubismo di Picasso avrebbe assunto un certo grado
           di  coerenza  e  di  logica  a  partire  dalle  tele  completate  dopo  l’estate
           1909, una stagione che l’artista trascorse a Horta de Ebro, dove tornava

           dieci  anni  dopo  i  giorni  più  felici  della  sua  giovinezza.  A  Horta,
           Picasso sentì la realtà con tutto il corpo, con tutti i sensi, con la sua

           stessa  coscienza:  la  sua  arte  entrò  ancora  una  volta  in  contatto  con
           l’ambiente  circostante.  Questo  contatto,  però,  si  realizzò  con  l’aiuto

           della nuova “ottica” che l’artista utilizza per colorare la sua percezione
           in  quella  terra  severa  e  montagnosa  dall’aria  pura  e  gelida  e  dalle

           cubiche strutture disseminate sui pendii rocciosi. Questa “ottica” era di
           un purismo straordinario nella sua semplicità e chiarezza.
              Escludeva  l’accidentale,  l’informe  e  ciò  che  non  era  strettamente

           indispensabile; metteva ordine nel caos della natura e, al contempo, si
           acuiva  fino  all’estremo  in  una  versione  della  forma  come  gioco  di

           contrasti  spaziali,  trasformando  una  scena  in  un  ricco  e  sfaccettato
           panorama organizzato secondo il carattere del soggetto. Sarebbe servita
           da base per il vocabolario formale del cubismo. Si osservi, però, che la

           definizione del volume per mezzo di una dettagliata sfaccettatura della
           forma non deriva da un’analisi preconcetta per sé, bensì piuttosto da

           un’attrazione per la realtà profonda di quella terra, con il suo paesaggio
           cotto e indurito alla luce impietosa del sole di Spagna. L’integrità di

           questo  sentimento  garantisce  ai  dipinti  eseguiti  a  Horta  de  Ebro  una
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