Page 4 - Papaveri e papere
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Il concepimento di questo libro deve molto a una calda mattina di
             luglio  e  al  suggerimento  di  un  amico  di  vasta  erudizione  (nonché  di
             ampie  dimensioni…).  In  una  bella  e  luminosa  giornata  della  scorsa
             estate,  mi  capitò  infatti  di  prender  parte  a  una  trasmissione  di  Radio
             Due dedicata alle gaffe: ne avevo forse qualcuna speciale da raccontare
             dopo vent’anni di lavoro all’estero, e in particolare i dieci trascorsi in
             Inghilterra, fucina inesauribile — come è noto — di fatali scivolamenti
             di lingua, soprattutto ai piani alti di Buckingham Palace?
               Ne avevo in effetti una certa scorta, ma un episodio in particolare mi
             sembrava notevole, dal momento che coprotagonista era stata proprio
             mia  moglie.  E  in  compagnia  eccelsa:  Sua  Altezza  Reale  il  principe
             Filippo di Mountbatten, duca di Edimburgo e consorte di Sua Maestà la
             regina  d’Inghilterra.  La  straordinaria  qualità  di  Filippo  in  quanto
             gaffeur  è  ormai  una  leggenda  nell’isola,  e  in  verità  anche  in  tutto  il
             resto delle terre emerse. Nelle prossime pagine constaterete che è una
             fama ben meritata. Ma torniamo a quella serata del marzo 2005, nella
             quale il fascino di una bella signora (qual è la mia Iolanta) fatalmente
             attrasse  nella  sua  orbita  un  indefesso  ammiratore  di  donne  (qual  è  il
             duca) fino a produrre un imprevedibile corto circuito.
               Ci  trovavamo  tutti  nella  White  Room  di  Buckingham  Palace,  a
             sorbire il caffè e a chiacchierare piacevolmente al termine del banchetto
             di Stato offerto da Sua Maestà Elisabetta II al nostro presidente della
             Repubblica  Carlo  Azeglio  Ciampi.  La  regina  e  il  consorte,  secondo
             consuetudine, si muovevano amabilmente tra gli ospiti, interrogandoli
             sulla  loro  attività  o  provenienza  (si  sa  che  alla  sovrana,  così  come  ai
             membri più importanti della famiglia reale si può solo rispondere, mai
             interpellarli per primi). Con  Iolanta,  che è per  metà greca e per  metà
             russa, Filippo — figlio di un principe reale greco e imparentato con gli
             ex  zar  di  Moscovia  –  trovò  facilmente  di  che  chiacchierare  senza
             problemi, finché il discorso non scivolò sull’argomento cucina.
               Il  duca  si  mostrava  compiaciuto  della  cena  offerta  quella  sera  agli
             ospiti  italiani.  E  forse  per  cortesia,  forse  per  sincero  riconoscimento,
             volle  sottolineare  come  il  miglioramento  del  menu  dovesse  anche
             qualcosa all’arrivo di cuochi tricolori ai fornelli di Buckingham Palace.
             Mia  moglie  ovviamente  si  spese  anche  lei  in  elogi  della  cena  (per
             quanto magari ne fosse meno entusiasta…) e, probabilmente ingannata
             dall’apparente  colloquialità  del  principe,  mise  il  piede  in  fallo:
             «Immagino che agli chef siano tornate utili anche le osservazioni degli
             invitati…» La risposta di Filippo arrivò accompagnata dal suo sorriso
             più affilato: «Veramente, non abbiamo l’abitudine di chiedere il parere
             dei nostri ospiti».
               Avevo giusto finito di raccontare questa breve ma intensa raffica di
             gaffe incrociate, che già il telefono squillava. Chiamava, da una remota
             spiaggetta  calabrese,  il  mio  vecchio  amico  Vincenzo  Mollica,  noto
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