Page 5 - Prodotto interno mafia
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Introduzione
Nel 1984 i miei genitori, avvocati penalisti alle prime armi,
parteciparono al maxiprocesso contro la Nuova camorra
organizzata di Raffaele Cutolo: 834 imputati, 1300 avvocati,
centinaia di giornalisti per il primo grande dibattimento contro la
criminalità organizzata.
Io avevo due anni, ma gli echi di quei giorni emozionanti
risuonarono a lungo tra le pareti di casa.
Mio padre Carmine, che aveva allora 33 anni, mi ha spesso
raccontato la tensione che si respirava nell’aula bunker di
Poggioreale dove le toghe degli avvocati novellini come lui si
mescolavano a quelle illustri dei «principi dei fori» sbarcati a
Napoli da Milano, Torino, Roma.
Pochi minuti prima di un’arringa decisiva, il celebre penalista
Alberto Dall’Ora, difensore del presentatore televisivo Enzo
Tortora, accusato di essere un affiliato della camorra e marchiato
dal pubblico ministero del processo di primo grado, Diego
Marmo, come «un cinico mercante di morte», passeggiava nel
cortile di Poggioreale fumando. Malgrado la fama, dai gesti di
Dall’Ora trapelava nervosismo comprensibile, vista la posta in
gioco del processo che divideva e appassionava l’Italia. Mio
padre, con l’incoscienza dei giovani, prese il coraggio a quattro
mani e si avvicinò per salutarlo con un «Buongiorno» sfrontato.
Alberto Dall’Ora guardò quello che doveva apparirgli come un
ragazzo che inutilmente provava a darsi credibilità con un paio di
baffi e rispose serio: – È dura caro collega. Anche per noi vecchi,
quando si tratta di mafia è sempre dura.
Quando si tratta di mafia è sempre dura. La morale di
Dall’Ora è tornata in casa per anni, durante i pranzi e le cene di
famiglia. Davanti a un nuovo clamoroso arresto o alla scoperta di
un racket internazionale, le parole del maestro milanese
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