Page 24 - Prodotto interno mafia
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C’è  un  oggetto  a  cui  Pietro  Grasso  è  molto  legato:  un
               accendino  d’argento  Dunhill,  donato  da  Giovanni  Falcone
               durante un viaggio aereo Roma-Palermo nella primavera del ’92.

               Erano seduti, uno accanto all’altro, e il magistrato che pochi anni
               dopo  sarebbe  stato  ucciso  dalla  mafia  consegnò  l’accendino

               all’amico  dicendo:  «Da  questo  momento  smetto  di  fumare.
               Tienilo tu e se decido di riprendere, me lo restituisci». Grasso era

               consulente  presso  il  ministero  di  Grazia  e  Giustizia  di  Roma,
               chiamato dal ministro Claudio Martelli per ricostruire l’apparato

               legislativo contro quei mafiosi che avevano dichiarato guerra al
               paese e ai suoi rappresentanti. Consigliere e amico di quei giorni
               difficili era il giudice Falcone.



                   Il procuratore nazionale antimafia conserva l’accendino nella

               speranza, un giorno, di poterlo restituire: «So che è impossibile
               ma  è  un  pensiero  che  mi  aiuta  a  lavorare».  Durante  il  nostro
               lungo incontro – avvenuto in un’afosa mattinata di luglio mentre,

               a  Palermo,  i  carabinieri  del  reparto  operativo  mettevano  le
               manette a 37 uomini legati all’«astro nascente di Cosa nostra»

               Gianni  Nicchi  –  i  pensieri  di  Grasso  vanno  spesso  all’amico
               scomparso.

                   Sulla sua scrivania c’è una foto di Falcone tra le insegne dei
               Chigi e gli affreschi del Seicento.

                   Il  palazzo  di  via  Giulia  a  Roma,  sede  della  Direzione
               nazionale  antimafia,  è  come  una  seconda  casa  per  Grasso:
               quando  nacque  la  Dna,  nel  gennaio  del  1992,  proprio  a  lui  fu

               affidato l’incarico di identificare il luogo che avrebbe ospitato la
               nuova struttura della Capitale.

                   Il  procuratore,  allora  impegnato  presso  la  Procura  nazionale
               guidata  da  Pier  Luigi  Vigna,  scelse  l’edificio  delle  «Carceri
               Nuove» di via Giulia, volute da papa Innocenzo X e realizzate

               dall’architetto  Antonio  del  Grande  tra  il  1652  e  il  1655.  L’ex
               carcere «papalino», oltre a poliziotti e tecnici che combattono la

               criminalità,  ospita  oggi  numerose  leggende.  Una  riguarda  i



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