Page 244 - Gomorra
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di capire se i sentimenti umani erano in grado di fronteggiare una così grande macchina
            di potere, se era possibile riuscire ad agire in un modo, in un qualche modo, in un
            modo possibile che permettesse di salvarsi dagli affari, permettesse di vivere al di là
            delle dinamiche di potere. Mi tormentavo, cercando di capire se fosse possibile tentare
            di  capire,  scoprire,  sapere  senza  essere  divorati,  triturati.  O  se  la  scelta  era  tra
            conoscere ed essere compromessi o ignorare - e riuscire quindi a vivere serenamente.
            Forse non restava che dimenticare, non vedere. Ascoltare la versione ufficiale delle

            cose, trasentire solo distrattamente e reagire con un lamento. Mi chiedevo se potesse
            esistere  qualcosa  che  fosse  in  grado  di  dare  possibilità  di  una  vita  felice,  o  forse
            dovevo solo smettere di fare sogni di emancipazione e libertà anarchiche e gettarmi
            nell'arena, ficcarmi una semiautomatica nelle mutande e iniziare a fare affari, quelli
            veri. Convincermi di essere parte del tessuto connettivo del mio tempo e giocarmi tutto,

            comandare  ed  essere  comandato,  divenire  una  belva  da  profitto,  un  rapace  della
            finanza, un samurai dei clan; e fare della mia vita un campo di battaglia dove non si può
            tentare di sopravvivere, ma solo di crepare dopo aver comandato e combattuto.

                 Sono  nato  in  terra  di  camorra,  nel  luogo  con  più  morti  ammazzati  d'Europa,  nel
            territorio dove la ferocia è annodata agli affari, dove niente ha valore se non genera
            potere. Dove tutto ha il sapore di una battaglia finale. Sembrava impossibile avere un

            momento  di  pace,  non  vivere  sempre  all'interno  di  una  guerra  dove  ogni  gesto  può
            divenire un cedimento, dove ogni necessità si trasformava in debolezza, dove tutto devi
            conquistarlo strappando la carne all'osso. In terra di camorra, combattere i clan non è
            lotta di classe, affermazione del diritto, riappropriazione della cittadinanza. Non è la
            presa di coscienza del proprio onore, la tutela del proprio orgoglio. È qualcosa di più
            essenziale,  di  ferocemente  carnale.  In  terra  di  camorra  conoscere  i  meccanismi

            d'affermazione  dei  clan,  le  loro  cinetiche  d'estrazione,  i  loro  investimenti  significa
            capire  come  funziona  il  proprio  tempo  in  ogni  misura  e  non  soltanto  nel  perimetro
            geografico  della  propria  terra.  Porsi  contro  i  clan  diviene  una  guerra  per  la
            sopravvivenza,  come  se  l'esistenza  stessa,  il  cibo  che  mangi,  le  labbra  che  baci,  la
            musica che ascolti, le pagine che leggi non riuscissero a concederti il senso della vita,
            ma solo quello della sopravvivenza. E così conoscere non è più una traccia di impegno
            morale. Sapere, capire diviene una necessità. L'unica possibile per considerarsi ancora

            uomini degni di respirare.

                 Avevo i piedi immersi nel pantano. L'acqua era salita sino alle cosce. Sentivo i
            talloni sprofondare. Davanti ai miei occhi galleggiava un enorme frigo. Mi ci lanciai
            sopra, lo avvinghiai stringendolo forte con le braccia e lasciandomi trasportare. Mi

            venne  in  mente  l'ultima  scena  di  Papillon,  il  film  con  Steve  McQueen  tratto  dal
            romanzo di Henri Charrière. Anch'io, come Papillon, sembravo galleggiare su un sacco
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