Page 400 - Shakespeare - Vol. 4
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Non vi biasimo, signore, giacché tutto
era perduto, non si fosse frapposto il cielo:
il re privato delle ali, disperso l’esercito,
non si scorgevano che schiene di britanni,
tutti in fuga per un angusto passo.
Il nemico rincuorato, la lingua in fuori
nella foga del massacro, con più lavoro
davanti a sé che mezzi per compierlo,
colpiva a morte alcuni, altri sfiorava appena.
C’era poi chi cadeva solo per la paura,
così che la stretta gola era ostruita dai corpi
degli uomini uccisi alle spalle,
e dai codardi che vivono solo per morire
di prolungata vergogna.
NOBILE
Dov’era questo passo?
POSTUMO
Presso il campo di battaglia, chiuso
e infossato tra pareti erbose: cosa che avvantaggiò
un vecchio soldato (un onest’uomo, garantisco) che,
per il servizio reso alla patria, meriterebbe una
stirpe lunga quanto la sua barba bianca.
Costui, di traverso alla gola, insieme a due giovani
(più adatti a giocare ai quattro cantoni che a
compiere una simile strage, con visi come quelli
che le fanciulle proteggono dal sole indossando
maschere, se non più belli) 16 mantenne la posizione
urlando ai fuggitivi: «I cervi di Britannia muoiono
scappando, non i nostri uomini. Le tenebre attendano
l’anima di chi fugge. Fermi! O diverremo romani
e vi daremo quella morte bestiale che da bestie
fuggite! Potrete evitarla solo girandovi a guardare
il nemico con cipiglio. Fermi! Fermi!». Questi tre,
tremila per coraggio ed efficacia − poiché tre fanno
una schiera, quando gli altri sono inerti − con il loro
richiamo, favoriti dal luogo ma più ancora dall’incanto