Page 1285 - Shakespeare - Vol. 4
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malgrado la razza, per via del colore − superstizione che
qui trova fondamento − su questo cavallo dunque, Arcite
trotta sui lastrici di Atene, che i rampini
contavano, più che − calpestare, perché il cavallo
farebbe un miglio al balzo se il cavaliere volesse
dargli sprone. Mentre così andava contando
la strada di silice, danzando, come fosse, alla musica
che facevano i suoi zoccoli − poiché, si dice, dal ferro
ebbe origine la musica − ecco che da una pietra maligna,
fredda come il vecchio Saturno 112 e come lui pregna
di malevolo fuoco, dardeggiò una scintilla,
o altro zolfo ardente, se a questo scopo preparato,
non saprei dire; il focoso cavallo, focoso come il fuoco,
prese spavento a ciò, e cadde in quella confusione
che la forza può dare all’istinto − balza, s’impenna,
dimentica le regole, ricevute ed esercitate
nel paziente maneggio; come il maiale uggiola
al pungente sperone che lo irrita invece
d’ammansirlo neppure un tratto; prova ogni trucco sleale
dei cavallacci ribelli e rozzi per disarcionare
il suo signore, che resta forte in sella. Quando nulla servì,
ché il morso non s’incrinava, la cinghia spezzava, né gli svariati salti
smuovevano il cavaliere da dove era piantato, e lo
teneva saldo tra le gambe, ecco che sugli zoccoli di dietro
dritto s’impenna,
sì che le gambe d’Arcite, stando al di sopra del capo,
sembrarono sospese per arte magica; la sua corona di vittoria
proprio allora gli cadde dalla testa; e subito
la bestiaccia si rovescia, e tutto il suo bruto peso
diventa il carico del cavaliere. È vivo ancora;
ma è la barchetta che galleggia appena, aspettando
l’ultimo cavallone che la schianti. Desidera molto
di parlarvi. Guardate, arriva.
Entrano Teseo, Ippolita, Emilia, e Arcite trasportato su di una sedia. 113
PALAMONE
O fine miserabile della nostra parentela!