Page 804 - Shakespeare - Vol. 2
P. 804
concreta evidenza gli sviluppi. Ma la resa spettacolare è ancora spuria:
l’effetto suggestivo e la soluzione preziosa soffocano a volte il chiaro [?]
discorso politico del testo».
Un’impegnativa edizione televisiva delle due parti (la seconda in prima
italiana), fu prodotta nel 1961 dalla RAI per inaugurare il settore prosa del
secondo canale. A parere di Sergio Surchi (in «Sipario», 218, giugno 1964), la
regia di Sandro Bolchi «spostò in primo piano la vicenda di Falstaff [...]
cercando di dare al lunghissimo dramma un maggiore dinamismo e
un’andatura di ballata popolare. Le zuffe d’osteria e le ubriacature del
panzone smargiasso si inscrissero al centro della storia, e la mole invadente
di Tino Buazzelli occupò e quasi dilatò il video con una carica innanzitutto
plastica. Fu, di Buazzelli, una delle interpretazioni più puntigliose e suasive,
anche se disturbarono alcune inflessioni benassiane. [Altri interpreti: Carlo
D’Angelo, Giancarlo Sbragia, Raoul Grassilli, Valeria Valeri.] La seconda parte
si risolse meglio in un gioco teso fra le licenziose avventure e le drammatiche
vicende della guerra. Qualche espediente diciamo naturalistico (come la
furibonda pioggia sull’accampamento) apparve risorsa spuria rispetto ad altri
episodi e ad alcune efficaci stilizzazioni (come i quadri della battaglia)».
A vent’anni di distanza, nel 1982, la Compagnia del Collettivo-Teatro Due di
Parma propose una rilettura innovativa, di gruppo, delle due parti di Henry IV,
ridotte a spettacolo unico di due ore, ottenendo ampia risonanza, in Italia e
fuori. Come in precedenza con Hamlet e Macbeth, la Compagnia cercò di
parlare attraverso il testo di Shakespeare della propria condizione personale
e storica, in particolare della crisi coeva dell’impegno politico e sociale,
disegnando «una linea di disintegrazione collettiva» (O. Bertani). I recensori
inglesi segnalarono che «le scene politiche sono recitate in modo brutalmente
orientale, le scene a Eastcheap come interludi meditativi a notte fonda dove
scippatori in giacche di pelle preparano la battuta di Gad’s Hill come una
corsa in motocicletta e Doll Tearsheet è l’alter ego silenzioso e sofferto di un
principe Hal calvo, notevolmente esotico [...]. Il Falstaff di Gigi Dall’Aglio ha
la stessa età di Hal, così rivelando l’importanza per questa generazione della
scelta fra partecipazione pragmatica ed edonismo irresponsabile» (M.
Coveney). Secondo lo stesso Dall’Aglio, Falstaff è vittima di una «infantile
utopia» e «non si accorge che i tempi cambiano», sicché «a lui va tutta la
nostra simpatia, ma non va il nostro rispetto sul piano della scelta di vita».
Così la rilettura iconoclasta finisce con lo sposare la versione ufficiale e
giustificare appieno la fermezza del Principe. Comunque il Falstaff di
Dall’Aglio apparve ai critici «tutt’altro che festoso, glorioso e trascinante»,