Page 20 - Keplero. Il cosmo come armonia di movimenti
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stata fatta che per essi, come se fosse verosimile che il Sole, un gran corpo quattrocento
e trentaquattro volte più grande della Terra, fosse stato acceso soltanto per far maturare
le loro nespole e far crescere i loro cavoli».
Nell’Inghilterra elisabettiana, William Shakespeare, innamorato della volta celeste,
cita frequentemente nei suoi lavori, da Romeo e Giulietta, all’Amleto, da Giulio Cesare
al Mercante di Venezia, le stelle e la loro posizione nel cielo, gli astri e il loro
movimento. Nell’Atto I dell’Amleto, il drammaturgo inglese fa dire a Bernardo:
“L’ULTIMA NOTTE FRA TUTTE, QUANDO QUELLA MEDESIMA STELLA
CH’È A OCCIDENTE DEL POLO ERA GIUNTA NEL SUO CORSO A
ILLUMINARE LA PARTE DEL CIELO DOVE ARDE ADESSO, MARCELLO ED
IO, LA CAMPANA ALLORA BATTENDO L’UNA…”
La stella citata, secondo studi condotti presso la Texas State University, sarebbe la
famosa supernova comparsa nei cieli europei nel 1572, che probabilmente impressionò
l’autore allora bambino. La stessa stella che colpì talmente Tycho Brahe, allora
ventiseienne, da indurlo a dedicarsi allo studio dei corpi celesti e a fargli capire che il
cosmo non era immutabile come affermava la Scolastica.
Anche l’universo filosofico-scientifico di Cartesio, grande costruzione ordinata,
nata direttamente dalla mente di Dio, influisce sulla cultura del Seicento. Il moralista e
scrittore francese François de La Rochefoucauld, vissuto a Parigi in pieno Seicento,
scriveva infatti: «Per quanto incerto e vario appaia il mondo, vi si nota tuttavia, una
certa concatenazione segreta e un ordine eternamente regolato dalla Provvidenza, che fa
si che ogni cosa stia al suo posto e segua il corso del suo destino».
Si tratta del tentativo di far coesistere l’antico e il nuovo, i classici della filosofia –
la filosofia in libris di Aristotele ma anche di Platone – e la filosofia naturale dei nuovi
scienziati. E Keplero è, forse, la massima espressione di questa convivenza. Certo
anche Copernico e Galileo erano convinti che esistesse una figura geometrica piana
perfetta, la circonferenza, e che il moto dei pianeti seguisse una traiettoria di perfezione.
Ma l’uomo che ha cercato di iscrivere l’universo nei solidi considerati perfetti da
Platone è stato proprio lui, Johannes Kepler. Ed è stato lui che ha riproposto l’idea,
pitagorica, della musica delle sfere, tentando di trovare l’unità profonda tra la scienza
dei suoni e la scienza del cosmo. È dunque in Keplero che la filosofia in libris convive
con le esigenze della scienza moderna.
Tutto ciò dimostra che la “rivoluzione scientifica” non consiste certo nel passaggio
istantaneo dalla dimensione culturale omogenea della “non scienza” alla dimensione
culturale omogenea della “scienza”. Al contrario è stato un processo filosofico e
sociologico fortemente caratterizzato, ma non privo di tortuosità, di accelerazioni e
ritorni indietro, che si è consumato in tempi piuttosto rapidi ma non istantanei.
La “rivoluzione scientifica” ha necessariamente le sue radici nel passato.
È avvenuta nella storia. È stata la crisi acuta di un sistema culturale,
certo, ma anche sociale ed economico.