Page 9 - Galileo Galilei - Lettere copernicane. Sentenza e abiura
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VERITÀ
Galileo Galilei è stato tante cose insieme: uno studioso, uno
scienziato, un pensatore, un letterato. Ma è stato prima di tutto
un cultore della verità. Il concetto di verità non aveva per lui
nulla di metafisico o di astratto, come avveniva ancora – per
certi versi – con i filosofi rinascimentali. Galileo è interessato
alla verità fattuale, vale a dire alla realtà delle cose.
Questa ricerca ha rappresentato l’obiettivo principale della
sua vita. Nessuna autorità, laica o ecclesiastica che fosse, è
riuscita a sopprimere o a conculcare in lui questo anelito alla
verità. In tale chiave, la sua opera può essere letta come un
importante anello di congiunzione tra scienza, tecnica e
umanesimo, ma anche come un passaggio fondamentale
dell’epistemologia moderna, il che conferisce al pensiero
galileiano un indiscutibile spessore filosofico.
Lo si vede chiaramente già in un’opera del 1610, il Sidereus
Nuncius (“Messaggero celeste”), un breve trattato in lingua
latina in cui Galileo dà notizia delle prime ma già rivoluzionarie
scoperte astronomiche fatte grazie all’uso del cannocchiale,
destando enorme scalpore nel mondo scientifico, religioso e
culturale dell’epoca. E anche nel Saggiatore, un’opera
pubblicata nel 1623 sotto forma di epistola in volgare, l’autore
entra in una disputa in merito alla natura delle comete, ma, al di
là dell’argomento specifico, il testo è importante soprattutto per
la polemica metodologica nei confronti della scienza
tradizionale, volta com’era a ribadire concetti sui quali non
c’era alcuna certezza empirica.
Tale studio della verità appare anche nelle Lettere
copernicane (1612-1615) un impegno costante, essendo Galileo
convinto – come si esprime nella lettera A madama Cristina di
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