Page 136 - Profili di Storia
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                                                                                           Il mito e la storia


                        tro queste imprese leggendarie intravediamo le reali esperienze dei naviganti greci alla scoperta
                        del Mediterraneo. In questi celebri versi leggiamo la terribile esperienza vissuta da Ulisse e dai
                        suoi compagni in un tratto di mare dello Stretto di Messina. I marinai greci si trovano stretti da
                        due gravi pericoli: un orribile mostro marino di nome Scilla e uno spaventoso vortice degli abis-
                        si, chiamato Cariddi.




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                         Omero, Odissea, XII, 201-59                            paurosamente ingoiava l’acqua salsa del mare;
                                                                                ma quando la vomitava, come su grande fuoco caldaia,
                         Appena quell’isola noi lasciavamo, che a un tratto     tutta rigorgogliava sconvolta: dall’altro la schiuma
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                         fumo e onde enormi vidi e un rombo sentii.             pioveva giù, sulle cime d’entrambi gli scogli.
                         Ai compagni atterriti caddero via i remi di mano,      E quando ancora ingoiava l’acqua salsa del mare,
                         e con fracasso s’urtarono tutti giù in acqua: rimase di colpo  tutta sembrava rimescolarsi di dentro, e la roccia
                         ferma la nave, ché i lunghi remi più non stringevan le mani.  rombava terribile; in fondo la terra s’apriva,
                         Ma io, per la nave movendo, incoraggiavo i compagni    nereggiante di sabbia. Verde spavento prese i compagni.
                         con parole di miele stando accanto a ciascuno.         Guardavamo Cariddi, paventando la fine.
                         «O amici, davvero non siamo inesperti di mali,         E proprio in quel punto Scilla ghermì dalla concava nave
                         né questo è spavento peggiore di quando il Ciclope 2   sei compagni, i più vigorosi per la forza del braccio.
                         ci chiuse nella profonda caverna con feroce violenza:  Mi volsi all’agile nave e ai compagni,
                         eppure anche di là, per mio valore, astuzia e prudenza,  ma potei solo scorgere braccia e gambe lassù,
                         fuggimmo; anche di questo credo che serberete memoria.  sollevate nell’aria: mi chiamavan gridando
                         Ora su, come io dico facciamo tutti d’accordo:         invocando il mio nome – per l’ultima volta – angosciati.
                         voi con i remi ben fondo il frangente del mare         Così il pescatore su un picco, con la lenza lunghissima
                         battere, seduti sui banchi, se mai Zeus ci desse       insidia ai piccoli pesci l’esca gettando,
                         scampo e salvezza da questa rovina.                    butta nel mare il corno di bove selvatico,
                         A te poi, pilota, così comando, e tu bene in cuore     poi, preso un pesce, lo scaglia fuori guizzante;
                         mettilo, poiché della concava nave reggi la barra:     come guizzavano quelli, tratti su per le rocce.
                         fuori da questo fumo, fuori dal vortice tieni la nave  E sulla bocca dell’antro se li divorò, che gridavano
                         e bada allo scoglio, che non ti sfugga                 e mi tendevan le mani nell’orrendo macello:
                         la nave e vi cozzi e ci mandi in malora».              fu quella la cosa più atroce ch’io vidi con gli occhi,
                         Così parlavo, e quelli subito alle mie parole ubbidirono.  fra quanti orrori ho affrontato, le vie del mare cercando.
                         Ma non dissi di Scilla, inesorabile male,
                         ché atterriti i compagni non mi lasciassero andare
                         i remi, e non si appiattassero in fondo alla nave.
                         [...] vestite l’armi gloriose e due lunghe             1. L’isola delle Sirene, dove Ulisse e i suoi compagni avevano appena vissuto un’al-
                                                                                tra avventura.
                         aste impugnando, sul ponte della nave salii,           2. Polifemo, il gigante con un occhio solo.
                         a prora: di qui m’aspettavo che dovesse mostrarsi
                         Scilla petrosa, prima di massacrarmi i compagni:
                         ma in nessun luogo potevo scorgerla, e mi si stancavano gli occhi  GUIDAALLALETTURA
                         a scrutare da tutte le parti lo scoglio nebbioso.      1. Perché Ulisse tiene celata ai suoi compagni l’esistenza di Scilla?
                         Così per lo stretto navigavamo gemendo.                2. In che modo Ulisse tratteggia, rispettivamente, Scilla e Cariddi?
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                         Da una parte era Scilla, dall’altra la divina Cariddi  più orribili vissute da Ulisse?



















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