Page 10 - Peccato originale
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sangue e a quello del sesso. Tre fili rossi, quindi, che
annodandosi tra loro costituiscono una fitta trama
d’interessi opachi, violenze, menzogne, ricatti, e soffocano
ogni cambiamento, alimentando inevitabilmente quella
che Ratzinger indicava come la crisi della fede. Una
ragnatela mortale che si espande già nel pontificato di
Paolo VI, in un mondo dilaniato dalla guerra fredda,
nell’Italia instabile delle rivolte operaie, del terrorismo,
dei poteri occulti che trovano nei sacri palazzi la sponda
più inattesa, potente, ramificata. Bisogna partire da lì,
riconsiderando soprattutto l’operato dell’arcivescovo Paul
Casimir Marcinkus, al vertice dello Ior, la banca del papa,
e le sue inquietanti connessioni fin dentro l’appartamento
pontificio, fino ai paradisi offshore nell’America dei
cartelli, dei golpe, della cocaina.
In Vaticano Marcinkus raccoglie e garantisce interessi
che ora si possono ricostruire attraverso l’archivio inedito
dello Ior, fatto di decine e decine di documenti finora
rimasti sconosciuti: contabili, appunti, fogli di cassa, che
rivelano depositi dai saldi sorprendenti, come quelli
intestati a monsignor Pasquale Macchi, storico segretario
particolare di Paolo VI, o i conti di clienti inattesi come
l’attore Eduardo De Filippo o madre Teresa di Calcutta,
ospite riverita negli uffici più riservati della banca. Queste
carte, con i desiderata inconfessabili di preti e cardinali,
tra compravendite d’oro, dollari e palladio, spiegano
perché il pontificato di papa Luciani è durato solo
trentatré giorni e perché, anche negli anni Novanta, gli
eredi di Marcinkus hanno perseverato sulla sua stessa
strada, condizionando le finanze vaticane. Fino ad arrivare
ai giorni nostri, al pontificato di Benedetto XVI che mette
in cantiere le riforme volte a chiudere per sempre con
questo passato. Un’opera portata avanti dagli uomini
scelti da Ratzinger, porporati e laici, che tuttavia sono stati
inesorabilmente «impallinati»: chi licenziato, chi
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