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MOSCATO, IL GATTO
MURATO
Raimondo e la moglie si erano da poco trasferiti nella loro prima casa di San
Lorenzo e lei aveva manifestato il desiderio di avere un gatto. Al tempo Raimondo
lavorava in tribunale e la segretaria di un magistrato gli propose di adottare una
micina bianca, in verità ancora non svezzata, nata dalle parti di San Pietro. Mentre
tornava in vespa verso casa, Raimondo vide il manifesto dell’opera Un gatto di nome
Elvira e prendendolo come un segno del destino, battezzò così quella piccola, bianca
e scapigliata creatura. Ma come aveva fatto Raimondo con Elvira, anche la moglie
aveva una sorpresa per lui: un gatto rosso di nome Moscato che gli aveva regalato
una giovane autrice televisiva e aspirante scrittrice che diventerà famosa di lì a
poco, Susanna Tamaro. Il gattino era nato nella famiglia di un editore che lo aveva
allevato sulle colline toscane e il suo nome ricordava il colore dell’omonima uva. Fu
così che la coppia si ritrovò improvvisamente con due mici in un sol colpo, per di
più in un appartamento che, escluso il cortile e il tetto, era di appena trentacinque
metri quadrati. Elvira e Moscato cominciarono ad andare d’accordo solo dopo
essere stati sterilizzati, provvedimento che si rivelò necessario per evitare le
serenate di tutti i gatti di San Lorenzo che erano diventati l’incubo del vicinato. Ma
per arrivare al clou di questa storia dovranno passare molti anni e diverse case, fino
all’appartamento di Testaccio. Settantacinque metri quadri al settimo piano, la
famiglia era cresciuta, e c’erano anche due figli. Per sfuggire ai loro pianti notturni,
Raimondo dormiva da solo in una delle due stanze da letto. Un giorno, dopo
parecchie ore che Moscato non si presentava all’appello e neache a dormire ai suoi
soliti angoli, la famiglia cominciò a preoccuparsi. Dove poteva essersi cacciato in
un appartamento così piccolo per di più all’ultimo piano, chiuso da finestre a
strapiombo sulla strada sui cui stretti cornicioni non si era mai avventurato prima?
Cercarono ovunque, interrogarono il portiere, i vicini, i passanti; niente, di Moscato
nessuna traccia. Una notte, mentre Raimondo si girava e rigirava nel letto, ormai
certo di averlo perduto per sempre, udì un leggerissimo miagolio: poteva provenire
da nessun luogo o da tutti. Sembrava la voce del fantasma di un gatto, ma lui, ormai
ben sveglio non ebbe dubbi: quello era Moscato. Ma dov’era? Accostò l’orecchio al
muro e finalmente sentì distintamente la sua flebile voce e qualche movimento. Gli ci
volle poco a ricordare che i muratori avevano appena rifatto l’impianto di
riscaldamento e che dunque dovevano averlo involontariamente murato.
Picchiettando sulla parete, Raimondo riuscì a trovare un punto dove il muro era più
sottile e con un grosso martello riuscì ad aprire un buco nei mattoni. Il problema era