Page 6 - Primi poemetti
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uomini (perciò si mettono sopra le loro finestre) tante cose: l’amore della fami-
glia e del nidietto.
La prima capanna che uomo costruì, di terra seccata al sole, alla sua donna,
gli insegnò una coppia di rondini a costruirla. Ciò fu al tempo dei nomadi. Le
rondini viaggiatrici insegnarono all’uomo di fermarsi. E gli dettero il modellino
della casa. Solo, l’uomo lo capovolse. Ma questa voce che è? un rotolìo che mai
non finisce, come d’un treno che non arriva mai. È il Fiume, cioè il Serchio.
Di’, Maria, dolce sorella: c’è stato tempo che noi non s’udiva quella voce? Oh!
sì: belle Panie aguzze e taglienti, bel fiume sonoro, cari balestrucci affaccenda-
ti, care verlette, care canipaiole, cari reattini, caro campanile; sì, c’è stato quel
tempo che noi non si viveva così da presso. E se sapeste, che dolore allora, che
pianto era il nostro, che solitudine rumorosa, che angoscia segreta e continua!
Ma via, uomo, non ci pensare: mi dite. Ma no, pensiamoci anzi. Sappiate che la
dolcezza lunga delle vostre voci nasce da non so quale risonanza che esse hanno
nell’intima cavità del dolore passato.
Sappiate che non vedrei ora così bello, se già non avessi veduto così nero. Sap-
piate che non godrei tanto di così tenue (per altri!) materia di gioia, se il martòro
non fosse stato così duro e così durevole e non fosse venuto da tutte le possibili
fonti di dolore, dalla natura e dalla società, e non ne avesse ferito tutte le pos-
sibili sedi, l’anima e il corpo, l’intelligenza e il sentimento. Non è vero, Maria? E
benedetto dunque il dolore!
Perché in ciò riconoscere un atroce sgarbo della matrigna Natura, che il poco
bene che ci dà, ci dia solo a patto di male? Io dico parola più giusta. Io dico: O
madre Natura, siano grazie a te che anche dal male ricavi per noi il bene. Noi,
mansueta Maria, abbiamo a lungo camminato per l’erta viottola del dolore, e ci
siamo anche stancati, o Maria, molto; ma la passeggiata ci ha dato un giovanile
appetito di gioia. Sì, che anche una crosta ammuffita e una scodella di legumi
sono buon cibo alla nostra fame.
Ricordiamo, o Maria: ricordiamo! Il ricordo è del fatto come una pittura: pittu-
ra bella, se impressa bene in anima buona, anche se di cose non belle. Il ricordo
è poesia, e la poesia non è se non ricordo. Quindi noi di poesia ne abbiamo a
dovizia. Potrò significarla altrui? Aspettando i “Canti di Castelvecchio” e i “Canti
di San Mauro”, il presente e il passato, la consolazione e il rimpianto, aspettando
questi canti che echeggiano già così soave nelle nostre due anime sole; leggi, o
Maria, anzi rileggi questi poemetti.
E leggeteli voi, anime candide, cui li affido. Leggeteli candidamente. Perché
pare naturale in chi legge una continua preoccupazione, come se egli pensas-
se o sapesse che chi scrive si rivolge a lui con aria di baldanza e quasi di sfida,
dicendogli: Vedi come sono bravo! Onde il lettore fa ogni sforzo per resistere e
non lasciarsi persuadere o commuovere da colui che egli suppone sia per menar
vanto di tale successo.
Oh! no, candide anime! io non voglio farmi onore; voglio, cioè vorrei, trasfon-
dere in voi, nel modo rapido che si conviene alla poesia, qualche sentimento e