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LEZIONI  DI  LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907



                    zione riguarda la personificazione del vento in un Dio. Il se-
                    condo esempio è pure di Virgilio (Eneide, III, 94…) quando fa par-
                    lare  Febo  ai  Troiani.  Il  terzo  è  di  Luciano,  che  si  rivolge  a  Ce-
                    sare nella invocazione, onde si apre il suo poema (Pharsalia, I,
                    44…) Il quarto è di Orazio, che però lo ha tradotto da Omero, per-
                    ciò diviene un esempio anche di Omero. Qui Orazio parla della
                    Musa,  sua  scienza, traducendo i primi due versi dell’Odis-
                    sea. (Epistula ad Pisones, 141) Il quinto è di Ovidio, il quale
                    nel suo poemetto – Remedia Amoris – personifica Amore at-
                    tribuendogli facoltà di persona umana. Questi cinque esem-
                    pi sono esempi di personificazione; ma con questo Dante non
                    ha voluto solo dire che il poeta volgare può adoperare dei tro-
                    pi come i poeti antichi, ma che li deve adoperare - non senza
                    ragione  alcuna  ma  con  ragione,  la  quale  poi  sia  possibile  ad
                    aprire per prosa – (25° V.N.) In somma il dicitore volgare può
                    adoperare i tropi e i colori rettorici, ma però in cosa che abbia un
                    senso sotto; non in qualunque diceria d’amore.
                    E conclude il capitolo 25° così: «E acciò che non ne pigli alcuna
                    baldanza persona grossa, (ma perché questi materialoni non
                    ne pigliano baldanza di fare poesia anche loro) dico né li poeti
                    parlano così senza ragione, né quelli che rimano deono parlare così,
                    non avendo alcuno ragionamento in loro di  quello che dicono;
                    (uno che fa una diceria d’amore non si deve arrischiar a
                    fare tropi degni solo dei grandi poeti, perché se non c’è un sen-
                    so riposto è uno sciupare istrumenti nobilissimi per niente) pe-
                    rò che grande vergogna sarebbe a colui che rimasse cosa sotto ve-
                    sta di figura o di colore rettorico, e domandato non sapesse denuda-
                    re le sue parole da cotale vesta in guisa che avessero verace intendi-
                    mento. E questo mio primo amico (Guido Cavalcanti)
                    ed io ne sapemo bene di quelli che così rimano stoltamen-
                    te.»
                    Tre principi ha esposto Dante:
                    1° Non si può rimare che d’amore: cioè, fate magari
                    dei trattati di teologia o di filosofia in versi, ma date loro for-
                    ma di poesia d’amore; perché egli assegna alla poesia que-



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