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LEZIONI DI LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907
ciolo tempo è, che se volemol cercare in lingua d’oco e in lingua di sì,
noi troviamo cose dette anzi lo presente tempo per cento e cinquanta
anni. E la cagione, per che alquanti grossi ebbero fama di sapere dire, è
che quasi fuoro li primi che dissero in lingua di sì. E ‘l primo, che co-
minciò a dire sì come poeta volgare, si mosse però che volle fare inten-
dere le sue parole a donna, a la quale era malagevole d’intendere li versi
latini. E questo è contro coloro, che rimano sopr’alta matera che amo-
rosa; con ciò sia cosa che cotale modo di parlare fosse dal principio
trovato per dire d’Amore.»
Parla di filosofia in versi: per cui uno può meravigliarsi e dire:
– Cosa c’è di bisogno di dare a questa trattazione filosofica la
forma di canzone d’amore? – Prima di tutto il concetto del-
la filosofia, che è Amore della Sapienza, Dante lo aveva chiaro
nella mente, avendolo preso da Pitagora. Poi non ci sono poe-
ti in volgare che d’amore, e non ci dovranno mai essere altri poe-
ti d’amore che volgari. Questa è la sua teorica. Infatti la Divina
Commedia è un gran poema d’amore. Dante pensava così, piac-
cia a noi o non piaccia.
Poi ricomincia: «Onde, con ciò sia cosa che a li poeti sia conce-
duta maggiore licenza di parlare che a li prosaici dittatori, e que-
sti dicitori per rima non siano altro che poeti volgari, degno è e ra-
gionevole, che a loro sia maggiore licenza largita di parlare che a
li altri parlatori volgari: onde, se alcuna figura o colore rettorico
è conceduto a li poeti, conceduto è a li rimatori.»
Se dunque, i poeti latini, i poeti senz’altro, (non dice poeti volgari
che per modo di dire), adoperano metafore, allegorie (tropi in genere)
anche i volgari poeti possono adoperarle perché anch’essi per certe
somiglianze e proporzioni sono poeti. Perciò giustifica il fatto di
personificare l’Amore, che è un accidente in sostanza, con un
pellegrino, con un giovane vestito di bianchissime vesti; personificazio-
ni che fa continuamente, e sarebbe strano che mancassero nel
suo massimo poema. Ora di questo uso di espressioni figurate dà
alcuni esempi (sempre nel cap. 25° V. N.)
Il primo è quello dell’Eneide, quando Giunone parla ad
Eolo, signore de li venti (Eneide, I, 65… 76…) L’esemplifica-
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