Page 70 - Lezioni di Letteratura Italiana
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LEZIONI DI LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907
(Qui comincia veramente la quarta lezione)
Nella penultima lezione vedemmo che G. Guinizelli
paragona la bella donna con l’influsso che ha su noi, a Deo crea-
tore, il quale splende, influisce sugli angioli, che, appena creati, han-
no determinato di ubbidirgli e così hanno permanentemente con-
tinuato. Nella sesta stanza il poeta va in Cielo, fa un dram-
ma in Cielo e con sublime ardimento immagina la sua ani-
ma davanti a Dio. La stanza, variamente interpretata, ha in-
vece una interpretazione semplice, tenendo conto che si riferisce al-
la quinta stanza: Dio dirà all’anima di G. G.; quando gli sarà
davanti: – Non solo hai oltrepassato ogni spec[i]e di paragone ter-
restre, ma hai passato il Cielo e sei arrivato fino a me; e desti in vano
amore me per sembianti: (meglio leggere sembiante, e, nel secon-
do verso della stanza, davante che sembianti e davanti) para-
gonasti, nel tuo vano amore, la donna bella a me Dio. –
In questa strofa è osservabilissimo, quanto e più non l’osservas-
sero i critici, che la fraintendevano, il fatto che G. G. dai parago-
ni delle bestie, delle calamite, ecc, arrivi a paragonare l’amore
per la donna all’influenza che ha Dio sugli angeli. La rispo-
sta del poeta a Dio è semplice: – Questa donna rassomiglia-
va a un angelo proprio del tuo regno e quindi è perdonabile se
io le posi amanza.
G. Guinizelli non si sa quando nascesse, si sa che nel 1270 era
podestà, e poiché per occupare tale carica doveva avere alme-
no trent’anni, così si fa risalire la sua nascita al 1240. Nel 1289,
forse quando G.G. era certo ancor vivo, ma esule chissà dove, (non
è assurdo pensare potesse essere a Firenze), passando Dante A-
lighieri per un cammino, lungo il quale correva un ri-
vo chiaro molto a lui giunse tanta volontà di dire e disse:
Donne, ch’avete intelletto d’amore.
Quel giorno fu un gran giorno per Dante perché di quella
canzone se ne ricordò poi anche nel Purgatorio, dove la met-
te in bocca a Bonaggiunta Urbicciani quant[d]o gli fa dire:
Ma di’ s’io veggio qui colui che fuore
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