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LEZIONI  DI  LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907



                    dell’arte. Qualche parola strana –  Ripulisce le sue piante – io ho
                    sentito  dire  rimonda  ma  potrebbe  darsi  che  si dicesse.  –  Inca-
                    tricchiarsi – non l’ho mai sentito a dire.
                    Passiamo ora al commento della canzone di G. Guinizel-
                    li che costituisce il terzo saggio. È una critica letteraria un po’
                    spicciola. Alla prima, è vero, noi non troviamo niente di
                    speciale in questa canzone, e fin qui posso essere quasi d’ac-
                    cordo col critico; ma se invece noi la guardiamo attenta-
                    mente, qualche cosa ci troveremo di certo dal momento che, come
                    già ebbi a dire, Dante l’ha imitata in una canzone, in un so-
                    netto e il primo verso l’ha messo in bocca a Francesca. Perciò
                    non è giusta la conclusione del maestro, che non dà affatto va-
                    lore  a questa canzone anche  perché  non fa che  ripetere gli  stes-
                    si concetti. La poesia lirica va presa a sé: non crediate che il poe-
                    ta si ripeta perché fa 100 sonetti sopra un concetto… È uno solo
                    che  vale?  Amate  quello  e  gli  altri  scartateli.  Dice  poi  il  mae-
                    stro essere sublime l’ultima strofa, io tolgo la sublimità a
                    quest’ultima  strofa,  che  è  più  bella  come  cosa  letteraria  che
                    come  cosa  lirica.  Infatti  dall’interpretazione  di  quest’ulti-
                    ma strofa risulta più tosto la novità del poeta che usa dei
                    paragoni nuovi, tanto nuovi che uno è persino eccessivo. –
                                       «Il sabato del villaggio»
                          Certe poesie hanno la disgrazia della loro bellezza, come cer-
                    ti pezzi di musica, i quali, perché sono molto belli, ci vengono a
                    noia, ché li sentiamo  continuamente ripetere dagli organet-
                    ti. Così è dell’«Ave Maria» di Gonnov, così del “Sabato del Vil-
                    laggio” di Giacomo Leopardi.
                          Come per la canzone di G. Guinizelli bisogna tornare col
                    pensiero alla poesia de’ suoi tempi; come per apprezzare il Manzoni
                    bisogna ricordare la maniera accademica in cui si scriveva pri-
                    ma, contemporaneamente e dopo, sventuratamente, di lui, al-
                    trettanto conviene fare pel Leopardi.
                          Il “Sabato„ è una delle più perfette poesie del Leopardi,
                    ma ripeto, non è ancora spogliata di tutto quello che l’accademia
                    aveva sparso sulla poesia italiana.

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