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LEZIONI  DI  LETTERATURA ITALIANA - ANNO ACCADEMICO 1906-1907



                    dalla neve e che si mette al sole produce fiamma e fa più intenso il fuo-
                    co. Introducono anche il sole nei loro versi: «lo sol sta alto e si face lu-
                    mera viva quanto più in alto ha da passare». Un paragone ingegnoso, se
                    si vuole, è ricavato dai raggi di luce, che passano il vetro senza divider-
                    lo: buon paragone per far credere che si rimane in vita nonostante certi
                    sguardi che passano attraverso di noi. Altro buon paragone è quello del-
                    la calamita: la persona amata trae a sé l’amatore come la calamita il ferro.
                    L’amatore si paragona anche all’assassino, ligio fino al delitto al Veglio
                    della Montagna, perché aveva depositato, in certo qual modo, il pro-
                    prio amore nelle mani della donna amata. Altri paragoni: Il cigno che
                    canta quando è vicino a morire – il basilisco che uccide collo sguardo –
                    l’araba fenice che rinasce dalle ceneri sue – la tigre che cessa d’incrude-
                    lire se gli si presenta uno specchio – la pantera che è allettata coll’odo-
                    re – il cervo che stanco si rivolge al cacciatore per morire – il leoncino
                    che nasce morto e che suo padre sveglia alla vita con un forte ruggito.
                    – Buon paragone, questo, ma non ricavato dalla realtà. Probabilmente
                    le scuole poetiche variano, ma cadono sempre nello stesso difetto. Delle
                    storture di oggi non ci rendiamo ragione; ciò che non nasce dalla verità,
                    ciò che non è veduto e sentito non è durevole anche se piace. Tuttavia
                    questo paragone del leoncino può sempre servire in una poesia o in un
                    dramma, trasportandolo ai nostri tempi.  Molto comune è pure il pa-
                    ragone del leone generoso, al quale la poesia italiana non ha rinunziato
                    ancora. Di questi poeti trovatori era Richard de Barbazieu, che nelle sue
                    canzoni si dilettava molto di dire similitudini di bestie, di uccelli, del
                    sole e delle stelle, che nessun altro aveva né dette, né trovate. Queste no-
                    tizie sulla sua vita ce le dà una biografia provenzale. Rimane di lui una
                    canzone: – Atressi cum l’olifans -, ciascuna strofa della quale contiene
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                    un paragone speciale: la 1  dell’elefante, la 2  dell’orso, la 3  di Dedalo,
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                    la 4  della Fenice, la 5  del cervo e dei cacciatori. (Questo e altro possono
                    avere con più particolari e con le citazioni dei luoghi donde sono tratte, dalla
                    “Scuola Siciliana” del Gaspary. Il Gaspary è un tedesco d’origine italiana, che
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