Page 278 - Lezioni di Letteratura Italiana
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Allor pose la mano alla mascella   Ed un ch’avea l’una e l’altra man mozza
               D’un suo compagno, e la bocca gli aperse,   Levando i moncherin per l’aura fosca
               Gridando: Questi è desso e non favella;  Sì che ’l sangue faceva la faccia sozza,
                 Questi, scacciato, il dubitar sommerse   Gridò: Ricorderatti anche del Mosca,
               In Cesare, affermando che’l fornito  Che dissi[e]: Lasso! Capo ha cosa fatta,
               Sempre con danno l’attender sofferse.  Che fu ’l mal seme per la gente tosca.
                 Oh quanto mi pareva sbigottito (5)  Ed io v’aggiunsi: E morte di tua schiatta;
               Con la lingua tagliata nella strozza  Perch’egli, accumulando duol con duolo,
               Curio, che a dicer fu così ardito!  Sen gio come persona trista e matta.




                     (1)  Virgilio, a questo punto, dice: Non è morto, non è reo; lo conduco io di girone in
               girone e questa è verità (cioè non è di quella cose che tu e altri dicevate)
               Tutti i dannati appena hanno saputo che Dante è vivo, accorrono. Erano (ricordate il primo
               paragone) tanti e tanti che tutti i morti ... Maometto che aveva alzato il piede per andarsene,
               si ferma e gli dice: Di’ a fra Dolcino che provveda le vettovaglie, altrimenti i nemici di Nova-
               ra lo vinceranno. Appena detto questo, distese il piede e se ne andò.
                     (2)  Fra Dolcino, dico apertamente, è da considerare come un martire, non come un
               volgare ribelle, un mettimale. Come lui, molti ne registra la storia, specialmente nel medio
               evo. Egli è di quegli uomini che volevano ricondurre il Cristianesimo al tempo apostolico,
               in cui ci fosse uguaglianza fra gli uomini e perciò fratellanza. S. Francesco è sugli altari, ma
               non so qual santo lo proteggesse: poteva benissimo andare a finire come fra Dolcino. Costui,
               che non era frate, e così lo chiamavano per farlo apparire un rinnegato, predicava il ritorno
               alle pure fonti del Cristianesimo. Con queste idee non fece grande e bella carriera. Fu amato
               da una donna che con lui conviveva, bellissima e valorosissima, fu con lui presa nella batta-
               glia del Novarese; circondato in quelle montagne dagli avversari, impedito per la neve ogni
               scampo e passaggio, dovette arrendersi. Egli e i suoi furono trattati orribilmente e, come di-
               cono i cronisti, attanagliati con tenaglie roventi e ridotti a pure ossa. Fra Dolcino appena fece
               un segno di spasimo colle spalle. Morirono eroicamente, egli e la sua donna, che fu bruciata.
               Fra Dolcino morì nel 1306.
                     (3)  Quando si è partito Maometto, un altro domanda di parlare a Dante; aveva fora-
               ta la gola, mozzato il naso e un solo orecchio. È costui Pier da Medicina, (Pier dei Cattani)
               che pare cercasse metter male fra i Polentani di Ravenna e i Malatesta di Rimini; fra Firenze
               e Bologna; tra quei di Fano e i Malatesta. Pier da Medicina racconta qui, tanto per far vedere
               che il suo carattere in vita era di dir male, una tirannia feroce di Malatestino dall’Occhio. E
               nel discorso, per dire Rimini, ricorre ad una perifrasi: quella città, la quale una fra noi paghe-
               rebbe di non aver mai veduta.
                     (4)  Dopo il racconto di Pier da Medicina Dante dice: – Chi è colui che non
               avrebbe voluto veder Rimini? Allora Pier da Medicina mette le mani in bocca ad
               un suo compagno (come si fa alle bestie che si portano a vendere) e dice: Questi è
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