Page 260 - Lezioni di Letteratura Italiana
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ma nere, di pipistrello, enormi). Lucifero, che Dante chiama Dite, con nome paga-
no, come il serpente non è chiamato da lui serpente, ma Gerione, con nome Virgi-
liano. Questo demonio, che era il più bello degli angeli (era un Serafino) batte le ali
e produce gran vento, che congela Cocito, fiume che s’ impaluda a formare la ghiac-
cia. Egli ha tre teste e vediamo in ciò la sua triplicità. Egli è l’antico Dio per eccellen-
za: ha la sua potestà, il suo volere, il suo intelletto, ma fuori d’ordine e volto al male.
Le sue tre facce rappresentano la potenza, la volontà, l’intelletto, ma invece di amo-
re è odio; invece di intelligenza è la nera ignoranza; invece di potestà è l’essere co-
stretto anch’egli in questa ghiaccia che egli procura tale col ventilare delle ali. Nelle
tre bocche maciulla i due Cesaricidi, Bruto e Cassio; e in quella di mezzo il Deicida
Giuda che è anche scorticato.
Dante è arrivato al centro della terra. Egli deve rivolgersi, per andare a vede-
re le stelle, nell’altro emisfero. Si attacca, dunque, a Virgilio, il quale si attacca, a sua
volta, ai peli delle coste di Lucifero e quando, discendendo, è arrivato al punto volu-
to, cioè a metà del corpo di Lucifero, che è il centro della terra, risale e per via sotter-
ranea arriva nell’emisfero australe e precisamente in un’isola, circondata dal mare,
dove vede un vecchio, del quale apprende, da Virgilio, chi è e perché viene, che gli
intima la purificazione conveniente e poi sparisce. Come Dante al principio dell’In-
ferno ha veduto la morte dei rei, che accorrono alla livida palude di Acheronte, così
qui vede la morte del giusto, la morte in grazia di Dio. Vede nel mare azzurrissimo
una vela lontana; e a mano a mano che s’accosta, s’accorge che la vela non è altro
che le ali spiegate di un angelo, colle quali spinge la barchetta su cui è. Ode un canto
che è di liberazione e quale cantarono gli Ebrei quando ebbero passato il Mar Rosso.
Son anime pie che dalla foce del Tevere vengono dirette all’isoletta del Purgatorio,
per la quale si sale a Dio.
Come l’Inferno è un abisso conico, così il Purgatorio è una montagna conica.
Non comincia però subito il luogo dove si espia, dove si purga, la macchia lasciata
dal peccato. Prima ci sono gli scomunicati e i ritardatari. Qui Dante fa prova, pur re-
stando ortodosso, della grande modernità del suo spirito, quando concede la salvez-
za a persone morte scomunicate. E il suo coraggio è grandissimo quando, a esempio
di esse, pone Manfredi, odiato dalla Chiesa e dai Guelfi più del diavolo. A carico di
Manfredi furono inventate le dicerie, le favole più immonde e sacrileghe; e Dante
ve lo rappresenta puro e rassegnato e in via di andare in Paradiso, dove non possono
andare certi papi propagginati in Malebolge. Vi sono poi i ritardatari che rimettono
il convertirsi all’ultimo momento. Fra questi vi è un suo amico, fabbricante di stru-
menti musicali: una delle più belle e care figure dell’oltremondo, perché continua ad
essere pigro anche di là. Egli è Belacqua.
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