Page 248 - Lezioni di Letteratura Italiana
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fecero mai né bene né male, che sono sdegnati dalla misericordia e dalla giustizia:
sono angeli che non furono né fedeli né ribelli; angeli neutri, condannati anch’essi a
quella ridda vertiginosa nel vestibolo dell’Inferno, che dopo, nei singoli cerchi, non
vi sono più di questi angeli caduti.
Hanno veduto i Poeti, bensì, Caronte che tragitta con la barca l’Acheronte;
Minosse, che giudica con gli attorcimenti della sua coda; Cerbero cane ingordo che
ha tre gole; Pluto, una cotal specie di lupo; Flegias, che è il barcaiolo di quella pa-
lude dove [...] gli ignavi e gli spacconi insieme confusi. Ma questi, Caron, Minosse,
Cerbero, Pluto e Flegias, sono personaggi dell’antica mitologia pagana, non sono
angeli biblici scesi giù per il loro atto di ribellione. Qui, alla porta del vero Inferno,
che si chiama Dite, gli angeli caduti compariscono a contrastare il passo ai due visita-
tori. Riuscite vane contro la porta di ferro, la fortezza di Dante e la magnanimità di
Virgilio; ci vuole qualche cosa di più. Ed ecco scendere, armati di una sola verghet-
ta, un eroe, ossia un uomo che è quasi simile a un dio, tanta è la sua virtù. Discende,
naturalmente, dall’inferno di sopra, discende però da un luogo di questo inferno di
sopra donde i condannati possono muoversi liberamente, come si è mosso Virgilio,
che era nel Limbo. Discende, dunque – è facile capirlo – dal nobile castello che è
nel limbo, dove piangono i pargoli innocenti e dove sospirano invano, i grandi della
antichità. Il Poeta non è riuscito a farsi aprire la porta di Dite; riuscirà l’eroe di que-
sto Poeta. Virgilio scrisse l’Eneide, quindi l’eroe di Virgilio è Enea. Egli ha in mano
una verghetta, che è quella che nell’Eneide di Virgilio lo stesso Enea strappa da un
albero per recarla come dono a Proserpina, dea degli abissi infernali, del sottoterra,
e così ottenere di poter vistare l’oltremondo. La verghetta è d’oro. Con quella sola
verghetta si spalanca la porta, i diavoli fuggono, spariscono, non ci sono più; e i due
Poeti - poiché l’eroe magnanimo è tornato, senza far motto, al suo castello – si tro-
vano nell’Inferno del male che si fa agli altri: della malizia.
Come nell’Inferno superiore – quello che ho descritto già – c’è il vestibolo
in cui sono quelli che mai non fur vivi in questa vita, che non vissero come uomi-
ni, né come bestie, ma come piante: i vegetanti; così in questo altro più duro e più
crudo Inferno, concepito come una fortezza, vi sono spalti o baluardi in cui sono
tombe, infuocate di lingueggianti fiamme, nelle quali sono punite delle anime col-
pevoli tutte: si odono pianti, i lamenti escono dalle tombe. I coperchi di esse, con-
cepiti come sarcofagi quali si possono vedere a Rimini, a Ravenna, a Bologna, sono
alzati. Tuttavia, quelli che vi sono dentro non possono uscire, così, come gli altri del
vestibolo, non ostante vi sia la porta aperta; in questo sono simili, dunque, i sepolti
nelle arche e gli sciagurati del vestibolo, che, sebbene ne abbiamo apparentemente
l’agio, non possono approfittare della libertà. La porta è aperta, le arche scoper –
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