Page 236 - Lezioni di Letteratura Italiana
P. 236

mitivo lo chiamammo sempre selvaggio, come colui che sta sempre nelle selve.
                     L’ombra che si affretta a salvare il pellegrino è quella di Virgilio. Che cosa
               rappresenta? Forse la ragione umana? La sapienza? Perché Dante avrebbe preso, ad
               esprimere la ragione e la sapienza, un pagano, la cui ragione non era illuminata dal-
               la fede, la cui sapienza non era sapienza, perché non era cristiana? È Virgilio, bensì,
               l’amore ardente e insoddisfatto e perciò ardente (lo sanno bene le donne che per te-
               nersi l’amatore non devono mostrarsi troppo tenere per lui); è l’amore per la scienza
               e sapienza. Scienza e sapienza sono due cose diverse, sebbene significhino, entrambe,
               sapere. Nel linguaggio del nostro Poeta, la sapienza è propria dei cristiani soltanto: è
               qualche cosa che riflette più tosto il bene che il vero; ma anche il vero. A ogni modo,
               Virgilio fa dire a Dante che cosa egli rappresenti: «O degli altri poeti onore e lume
               Vagliami il luogo studio e il grande amore … ». (Inferno, I, 82-83). Nel Convito, al-
               tra opera di Dante, il Poeta dirige delle canzoni all’amore. Ivi spiega che l’amore è lo
               studio ch’egli poneva nell’acquistare l’abito dell’arte e della sapienza.
                     Dunque, questo Virgilio, poeta antico, dice al poeta moderno: – Per questa
               strada tu non puoi arrivare alla tua meta. - Qual è il viaggio che Dante faceva prima?
               Qual è quello che farà con Virgilio? La spiaggia deserta, per cui Dante ha mosso i
               primi passi uscendo dalla selva, è la via di questo mondo. L’alto viaggio sarà la via ol-
               tremondana che Dante farà con Virgilio e con Beatrice. Essa è rappresentata dall’In-
               ferno, dal Purgatorio, dal Paradiso, regni che sono fuori dalla nostra via, che sono
               di là. La via di questo mondo si chiamava da Dante e dagli altri vita attiva; quella
               dell’altro mondo vita contemplativa. Virgilio dice: – Lascia la vita attiva che non è
               per te, come per nessuno, perché c’è quella bestia; cioè, con parola sintetica, il male,
               – essa t’impedisce il bene. – Non c’è che rifugiarsi nello studio per amore dell’arte
               e della sapienza. Questo è d’accordo colla vita del pellegrino? Perfettamente. Dante,
               da giovane, si era preso d’amore per una fanciulla di lui poco minore; l’aveva arden-
               temente amata senza parlarle. Era uno di questi amori che sublimano l’anima, che
               non hanno conclusione mai in questa vita, ma che bastano ad in[n]alzarla e renderla
               proficua; non dico felice, ma, qualche volta, grande. Forse questa giovinetta gli era
               negata o per ragioni di famiglia o perché fin da fanciulla promessa ad altri o perché
               Dante avesse prescelto – o altri avesse prescelto a lui – altra carriera che quella del-
               la vita cittadina. Dante considerò ben presto questa fanciulla come la speranza del-
               la contemplazione eterna, come l’incarnazione della vera sapienza in tutte le forme;
               ciò è a dire, la sua felicità, la sua eterna felicità. La considerava come trasformata in
               essere ideale. Questa fanciulla morì. (Se era la Beatrice Portinari sarebbe morta ma-
               ritata; e questo non è improbabile né impossibile) Dante ebbe dei momenti in cui
               parve dimenticare questa creatura, anzi certamente, la dimenticò nella sua forma ide-
               ale – ossia di sapienza – quando si diede alla vita politica del Comune, perché quella

                                               - 22 -








                                                                                253
   231   232   233   234   235   236   237   238   239   240   241