Page 234 - Lezioni di Letteratura Italiana
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riconoscevano tre anime in noi: la vegetativa, senza la quale non si dà vita; essa è
quella che abbiamo comune fin colle piante; la sensitiva, senza cui non si dà senso
ed è comune colle bestie; la intellettiva, comune agli angeli, solo nostra, in qualche
modo. Finché il pellegrino si trovava nella selva dalla grande vegetazione, era come
allo stato più basso della vita stessa; vegetava e non viveva: o viveva, come in fin de’
conti i più degli uomini, che non lasciano di sé alcuna traccia in questa vita; era co-
me se fosse ancora rimasto infante, parvolo di età. Questo, significa e simboleggia la
selva vegetale. Ma da questa selva esce e allora opera anche coll’anima sensitiva che è
a noi comune coi bruti. Ecco, in verità; le tre bestie sono come il simbolo di ciò che
sarebbe l’uomo se adoperasse l’anima sensitiva soltanto. Però, solo la prima esprime
questo concetto; la prima che rappresenta ciò che piace a principio, diletta poi; in-
torpidisce all’ultimo. Quante cose ci piacciono! Ci piace, per esempio, l’amore; ci
piace anche la buona tavola; ci piace di avere un gruzzolo (che è poi il gusto più ri-
dicolo di tutti) ma se in questo amore e piacere troppo indulgiamo, ecco che vien
l’inerzia. Si vedono, infatti, questi amatori, che vanno via colle grucce, questi ghiot-
toni che dopo il pasto si addormentano. Sono peccati sensitivi, questi; e sono bene
rappresentati dalla lonza che ammalia e poi addormenta. Ma l’uomo adopera storta-
mente anche l’anima intellettiva: è come rifiutarla, come non averla, se la si adopera
ad un fine tutto contrario di quello per cui ci è stata data. Ora, la nostra intelligenza,
la nostra ragione, dagli scolastici è distinta, e anche dai filosofi odierni, in volontà
e intelletto. E quando noi, la nostra volontà, che deve esser di bene, la torciamo al
male, quando, cioè, vogliamo il male e non usiamo l’intelletto (quindi vogliamo il
male con cecità assolta) rassomigliamo alle bestie, ma filosoficamente parlando, non
siamo bestie perché esse non vogliono. Questo ragionamento non lo faccio io, ma i
filosofi antichi. Se al male corriamo senza che l’intelletto ci illumini (ora diremmo
che siamo impulsivi, in antico violenti) rassomigliamo al leone che viene a testa alta,
con «rabbiosa fame», senza freno e proibizione alcuna. Se però, il male lo vogliamo,
e lo vogliamo facendoci bene illuminare dall’intelletto e lo facciamo cautamente, a
tradimento, abbiamo la lupa; rappresenta la terza anima e quella grande specie di
peccati che si abbracciano tutti col nome di frode. Riassumendo: la lonza rappresen-
ta l’incontinenza; il leone rappresenta la violenza; la lupa rappresenta la frode. La
prima deforma l’anima sensitiva per usarla troppo; la seconda è come se oltre all’a-
nima sensitiva usassimo immoderatamente una parte dell’anima intellettiva che è la
volontà; la terza è come se usassimo malamente le due anime a danno del prossimo:
la sensitiva e la intellettiva nella sua interezza: essere, cioè, totalmente malvagi. Ed
ecco perché le tre bestie diventano la bestia; nell’ultima sono comprese le prime due.
Nella D.C. ogni tanto ci sono cose che sembrano antiquate: rispondo-
no, tuttavia, ai risultati delle scienze moderne, queste concezioni. L’uomo pri-
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