Page 232 - Lezioni di Letteratura Italiana
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Dopo essersi riposato un po’, continua a camminare verso quel colle. Il luogo è deser-
to; egli va come zoppicando (E qui ricordate che io affermo, mentre, ogni tanto, do-
vrei dire: forse. Vi do[ò] l’opinione mia come una certezza, avvertendovi, però, che è
concesso ad altri dire altrimenti. Ma io credo che in questo immenso mare della Di-
vina Commedia sia lecito usare il metodo che si usa nelle scienze naturali e fisiche,
nelle quali si procede per gradi e per ipotesi, e più un’ipotesi spiega, più è valevole.
Quando qualcuno abbia un’ipotesi che spieghi più delle precedenti, quella subentra
alle altre. La mia è una specie di ipotesi che spiega meglio la D.C. e anche la vita di
Dante. Me soddisfa, non gli altri o, almeno, molti altri. Avvertendo questo, credo di
essermi pulita la coscienza. Così, quello che ho detto prima: va come zoppicando,
così con passo ineguale è interpretazione del «piè fermo sempre era il più basso» ).
Procede; ed ecco una bestia veloce, screziato il dosso, di belle forme, una bestia feli-
na, la quale si considerava dagli antichi come una ammaliatrice e addormentatrice:
la lonza, ossia la lince. Aveva la particolarità che attirava, ammaliava, addormentava
e faceva strazio dell’uomo addormentato. Questa bestia era sempre davanti al pel-
legrino; ma egli era abbastanza forte, fresco, giovane; poi era in un mattino di pri-
mavera, e procedeva oltre. Sarebbe salito al monte, ma ecco sopravvenire prima un
leone (almeno lo vide prima) poi una lupa. Il leone e la lupa erano famelici, avevano
gola di sangue, volevano dunque, fare il male mentre l’altra bestia (secondo le noti-
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zie che abbiamo dai Bestiarii antichi) in apparenza almeno avrebbe fatto il bene.
Ma già il leone è sparito, resta la vera bestia cattiva, la lupa che cautamente respinge,
a poco a poco, or di qui or di là, il pellegrino nella selva dov’era prima. A un certo
punto il pellegrino vede di aver fatto invano i pochi passi perché è di nuovo nella
selva oscura.
In questo momento, gli si presenta un’ombra dalla voce fioca sì come se fos-
sero secoli che non parlasse. Gli si rivela per Virgilio, il poeta della lingua latina e gli
dice: - è inutile che tu voglia far viaggio per qui; non giungeresti mai, perché quella
bestia t’impedirà tanto che ti ucciderà. Bisogna che tu faccia altro viaggio: che tu
venga con me nel luogo che io ho già descritto, che comincia con grida disperate di
persone che soffrono non si sa perché (hanno solo mosconi addosso) e dove vedrai
gli antichi spiriti dolenti (Inferno). Poi ti condurrò dove sono color che son conten-
ti nel fuoco (Purgatorio). I primi apparentemente nulla offende; gli altri, fra un ma-
le chiaramente sensibile, cantano. I primi son disperati, gli altri hanno speranza. Se
poi vorrai andare più su ancora (Paradiso), allora verrà una donna con te, un’anima
di me più degna. Io non posso salirvi, perché non ho conosciuto il vero Dio; son na-
to prima di Gesù Cristo. - Il pellegrino acconsente a questo viaggio e così termina il
primo canto che è il proemio di tutto il poema, il quale, senz’esso, consta di 99 canti,
divisi in tre cantiche di 33 canti ciascuna.
Che cosa è questa storia di selva, di colle, di bestie e di Virgilio. Ecco bre-
vemente: Gli antichi filosofi cui quel pellegrino (che era Dante Alighieri) seguiva,
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