Page 228 - Lezioni di Letteratura Italiana
P. 228

Queretaro, e l’arciduchessa Sofia, così superba di essere madre di due imperatori, ve-
               de la fronte dell’uno curvata dall’umiliazione delle recenti sconfitte, e quella dell’al-
               tro spezzata dal piombo, lei che nel ’52 volle il sangue di Tazzoli e di Poma. Anche
               al suo Massimiliano la inflessibilità feroce di Juarez accorda, non già la grazia do-
               mandata da ambasciatori di tutti i governi, ma un simulacro di processo e tre gior-
               ni di agonia, tre giorni di confortatorio, come a’ condannati di Mantova. E il corpo
               del fucilato sarà pure richiesto, per lungo tempo invano, dagli angosciati parenti,
               dall’arciduchessa Sofia esclamante col Foscolo:
                                  Straniere genti, almen l’ossa rendete
                                  ... al petto della madre mesta.
                     «Juarez, trincerandosi anche lui nella legalità, nella fredda ragion di stato,
               vorrà, dapprima contendere la tumulazione dell’usurpatore giustiziato; e si pieghe-
               rà a concessione, quando il ministro Beust, avrà con, una mortificante richiesta uf-
               ficiale, fatto implicito omaggio alla legittimità del governo messicano uccisore, alla
               legalità dell’esecuzione capitale.
                     «Ma la Nemesi si appalesa più terribile col procedere degli anni.
                     «È il 30 gennaio 1889, in un oscuro casino di caccia, a Mayerling, giace cri-
               vellato di ferite orribili, che deformano la sua testa, Rodolfo d’Asburgo. Il vecchio
               Monarca piange accasciato sull’unico figlio, a cui sperava affidare le redini di un im-
               pero, già troppo pesanti per la stanca sua mano; ei chiede al cielo il perché di quella
               precoce, tragica morte; e la Nemesi risponde: eran tutti giovani e baldi quegli uccisi
               del ’52, e fu loro contesa non la sola gioia della vita, ma anche l’onor del sepolcro!
                     «È il 10 settembre 1898: una donna, sacra per la doppia aureola della corona
               e del dolore, cade sotto il pugnale di un bruto, che arrossiamo di chiamare italiano;
               e tutto il mondo civile inorridito si prostra dinanzi a quella soave figura regale, co-
               sì bella e così infelice, incolpevole vittima espiatoria di tanti cuori di madre infranti
               nel suo regno. Nel ’52-53, quando si svolgevano gli orrori de’ processi di Mantova,
               Elisabetta di Wittelsbach raggiava in tutto l’incanto della sua bellezza, pregustava la
               festa d’una esistenza su cui la fortuna pareva aver prodigato tutti i suoi doni e tutte
               le sue rose: e degli impiccati di Belfiore non le poteva giungere che una vaga e confu-
               sa notizia, attenuata dal frasario ufficiale sulle penose necessità di Stato, ond’erano
               «giustificati» quegli eccidi.
                     «Eppure tra le madri di quegli impiccati, v’eran donne, non minori di lei per
               squisitezza di sentimento ed una fra l’altre, uguale a lei per l’elegante cultura e ge-
               nialità poetica, Anna Poma.
                     «Leggendo qualche  anno fa  le  memorie  del Christomanos su  Elisabet-
               ta D’Austria, mi colpì un inaspettato, ma evidente ed eloquente raffronto. L’im-
               peratrice percossa dalla morte del suo Rodolfo, vaga sconsolata per l’Europa, cer-
               cando di scordare le sue sciagure nella contemplazione delle grandi bellezze della
               natura e nei conforti dell’arte; e quando nulla le giova, si raccoglie nei recessi,

                                               - 18-





                                                                                245
   223   224   225   226   227   228   229   230   231   232   233