Page 220 - Lezioni di Letteratura Italiana
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essere nella terra del tramonto, cioè nella terra esperia, antica madre di sua gente.
Approda alle foci del Tevere e fonda una piccola città, che dà origine ad un’altra e
questa a una terza dalla quale nascerà Roma. Enea è, quindi, sia pure mediatamente,
il fondatore di Roma. Risalendo il Tevere, egli va a cercare qualche alleato, perché
i Latini gli sono ostili. L’eroe italico, Turno, re dei Rutuli, assedia i Troiani, i quali
sono alle strette. A guardia della porta di contro ai nemici, sta un giovane cacciato-
re, Niso. Con lui è un giovinetto amico suo, Eurialo. Il primo si rivolge, durante la
(guardia)
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lunga vigilia all’altro e gli dice : «Io sento quasi un’ispirazione divina, quasi il de-
siderio prepotente di una grande azione. Vedi, come i Rutuli nella loro cieca fidu-
cia, fanno negligente guardia. Sai, d’altra parte, che i nostri vogliono che si richiami
Enea. Ebbene, a me dà il cuore di andare sino a Pallanteo , se a te promettono ciò
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che io domanderò». Eurialo vuol essergli compagno in quella impresa; ma Niso si
rifiuta di accettarlo; resti il giovinetto che in caso di sventura, riscatti e seppellisca
l’animo o almeno lo onori di un vuoto sepolcro; resti il giovinetto alla sua povera
madre che ricusò di rimanere in Sicilia con Aceste . Ma Eurialo dichiara vane que-
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ste ragioni, sveglia le sentinelle che devono rendere il loro posto; ed insieme vanno
in cerca di Ascanio.
I capi erano a consiglio studiando appunto chi poter mandare ad Enea. Sono
nel mezzo dell’accampamento, appoggiati alle aste, con gli scudi. Niso ed Eurialo
domandano di essere introdotti per cosa d’importanza. Sono introdotti ed invitati
a parlare: Niso parla, offrendosi di andare cercare Enea seguendo una via da lui già
scorta e fatta. Un vecchio, Alete, loda piangendo i due giovani valorosi, ed esclama
che Enea e Ascanio non potranno mai mandare loro compenso che agguagli il loro
merito. Ed Ascanio dichiara che per l’inestimabile benefizio di rivedere suo padre,
darà a Niso molti doni che enumera: tazze d’argento, tripodi, due talenti d’oro, un
cratere, il cavallo, lo scudo e l’elmo di Turno, dodici prigioniere e dodici prigionieri
con le loro armi e il fondo stesso di Latino; e ad Eurialo, giovinetto su per giù come
esso, tutto il suo cuore.
Eurialo risponde: «Così me aiuti la fortuna, come mi mostrerò sempre de-
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gno di questo primo fatto. Una sola preghiera… Ho la madre … essa non volle ri-
manere nella patria, non volle fermarsi in Sicilia; per seguirmi. Ora non sa nulla,
senza un saluto io la lascio. Non potrei reggere alle sue lacrime. Or tu la consola e
l’aiuta: con questa speranza son più coraggioso». I Troiani furono commossi, Iulo
pensò a suo padre. Disse: «Ella sarà mia madre. Avere avuto un tale figlio le porterà
fortuna. Quello che darei a te, darò alla tua madre e alla famiglia». Così dice pian-
gendo e gli dà la sua spada. Mnestheo dà a Niso una pelle di leone. Escono, e tutti
li accompagnano, giovani e vecchi, sino alle porte della città. Iulo dava a loro molte
commissioni per il padre: Oh! tutto vanisce al vento!
Escono la notte: sono nel campo dei Rutuli; tutto dorme, tutto è in di-
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(+) Da «Nostrae littarae» di Giovanni Pascoli (Epos; volume primo) Livorno, Giunti, 1911.
= Vergilii, Aeney, IX; versi 176 a 502 =
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