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32 – Il momento eroico di Ettore
Ettore allora nel suo cuore sentì ciò che era e si disse: Sì; ma non vuo’ senz’ ardire; non vuo’ senza gloria morire,
«Oh! oh! ora davvero gli dei mi chiameranno a morte! ma dopo fatto gran cosa, che i posteri sappiano ancora.»
Ché ben giurato l’avrei che qui fosse Deifobo eroe, Com’ebbe detto così, guainò l’appuntata sua spada,
mentre è là dentro le mura, ed Atena mi trasse in inganno. quale assai grande, assai forte, a lui s’allungava dal-
Or m’è dunque dappresso la morte cattiva, non lungi; l’anca
e non v’è scampo. Da molto si vede che a Giove era caro E in sé raccolto sbalzò come un’aquila d’ala sublime,
più, ch’io morissi, e al suo figlio Saetta-lontano, che un tempo ch’alla pianura si cala, di mezzo le nuvole nere,
già mi guardavan benigni; ma ora la morte mi coglie. per adunghiare od un morbido agnello o un timido lepre
tale sbalzò, l’appuntata sua spada rotonda, l’eroe.
33. – La ferita mortale
E s’avventò pur Achille ed empì la sua anima d’ira, Ma tutto il corpo quant’era coprivano l’armi di bronzo,
d’ira selvaggia, e davanti, a riparo del petto, lo scudo belle, che a Patroclo aveva predato, ammazzatolo, a forza:
posesi, bello, ben fatto, e col fulgido casco ondeggiava, pur trasparia, dove l’anse dividono gli omeri e il collo,
di quattro coni e le belle criniere svolavano intorno nel gorgozzule, per dove la vita più rapida pulsa:
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d’oro che d’ambo le parti il dio Folgore pose al cimiero. lì lo colpì colla lancia, mentr’egli scagliavasi, Achille;
Come una stella ne va tra le stelle nel cuor della notte, e per il morbido collo attraverso passò via di punta,
Espero ch’è la più bella che brilla lassù, delle stelle, senza le canne recidere il frassino grave di bronzo;
tal balenava la punta aguzzata dell’asta, che Achille sì che potesse pur dire e rispondere alcuna parola;
nella man dritta vibrava pensando al divo Ettore morte, e sdrucciolò nella polvere: Achille professe il suo vanto.
ed osservando il bel corpo, ove desse più facile via.
«Nella traduzione, testè letta, più rozza di quella del Monti, ma più fedele, sono ri-
prodotte tali e quali le immagini di Omero.» (Parole di eccessiva modestia di G.P. che
io lascio integre. N.d.C.)
Note: «Bronzo» le armi di quei primitivi erano di bronzo misto ad oro, argen-
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to, stagno, elettro. «Scamandro» detto anche lo Xanto (il biondo), è uno dei
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due fiumi di Troia: l’altro è il Simoente. - «dall’acqua» siamo in un campo di
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poesia che non è la solita. Nel descrivere questa corsa, il poeta, che è in una piaz-
za e dice davanti a uditori, che non avevano la fretta che hanno oggi, si indugia a
raccontare di queste due fonti: una d’acqua calda, l’altra d’acqua fredda. _ «la-
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vacri» per le lavandaie: a quei tempi, anche le regine lavavano i loro panni e quel-
li dei mariti, dei figli e dei fratelli. – ora non s’avventuravano più le donne ai
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lavacri, che erano fuori delle mura, perché gli Achei uccidevano gli uomini e pre-
davano le donne. – «la fuga» non era vergogna, a quei tempi: si trattava pur
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sempre di provare chi era più destro in un esercizio corporale e anche la corsa era
in grande onore allora e Achille era detto piè veloce. Anche Pindaro racconta che
Achille, da giovinetto, prendeva i cervi e le fiere alla corsa, senza i cani che glieli pi-
gliassero. Correvano come ora fanno i podisti (con parola moderna, sebbene gre-
ca) o i cavalli da corsa. Ettore, correndo, andava verso una torre, il vecchio e gran-
de caprifico, dove erano i Troiani che potevano difenderlo coi dardi. Ma Achille vi
giungeva prima e lo ricacciava. – «Il buon domatore» di cavalli, s’intende: ogni
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tanto vi sono di questi aggettivi– «Peleo» padre di Achille – Ettore, per quan-
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