Page 208 - Lezioni di Letteratura Italiana
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Impugnò la pistola e guardò R. per mirare. Il vecchio R. era grasso, ripugnante, colle
gote cascanti, l’occhio stanco, e camminava appena, con grande stento, sorretto da
due ufficiali. Era a dieci passi dal Prampolini, scoperto; non restava che sparare. E
non sparò. – Perché? – gli fu domandato. La risposta è irosa, veemente: – Non stava
più in piedi! Era mezzo morto, condannato. Mi faceva ribrezzo uccidere un vecchio
in quelle condizioni. I nemici si abbattono quando sono forti, prepotenti, audaci,
quando possono fare del male. Quello lì? Era già morto! – È la tempra del combat-
tente leale che si esprime in lui. Egli era generoso anche nel suo odio, e sdegnoso.
Più significativo ancora il fatto di Tito Speri. Vi era un commissario di po-
lizia, Rossi, che aveva scoperto tutte le fila della cospirazione mazziniana nei paesi
lombardo-veneti e specialmente nella fortezza di Mantova. Era ben certo che se si la-
sciava che il Commissario dispianasse di più queste fila, esse sarebbero diventate ca-
pestro al collo di tanti patriotti. Fu deciso di levarlo di mezzo e ne prese l’incarico lo
Speri (1827 +1853) eroico combattente delle Dieci Giornate di Brescia. Ma quan-
do fu il momento, egli pensò a quelle tremende dieci giornate in cui combatte a viso
aperto contro Haynau (generale austriaco crudelissimo, detto il rasoio di Radetzky, la iena
degli Italiani, il boia degli Ungheresi, da Europa tutta chiamato il macellaio (1786 +1853)
N.d.c.), pensò che quest’ uomo non s’ aspettava il colpo, pensò che la grande causa
non doveva essere offuscata da nessuna macchia, e il Rossi fu salvo; ma pochi mesi
dopo Tito Speri e gli altri martiri erano strozzati col capestro sugli spalti di Belfio-
re (1853). T. Speri fu giustiziato perché aveva tentato di uccidere il Rossi; invece, lo
dovevano premiare. Alla vigilia della esecuzione egli scrisse lettere e mostrò nel viso,
nelle parole una felicità di morire come i martiri cristiani dei primi tempi. Egli sen-
tiva la felicità di morir per la Patria senza aver nulla da rimproverarsi.
Per concludere; nella ritirata, meravigliosa, di Garibaldi da Roma, era il tri-
buno romano Ciceruacchio accompagnato da un ragazzo, figlio suo, e da una giova-
ne sempre triste, che mai sorrideva, e pareva in preda al rimorso. Era un altro figlio
di Cic., più che ventenne; si chiamava Luigi. Perché quel bel giovane non sorrideva
mai? S’è saputo qualche anno fa! Era stato lui a dare il colpo di pugnale nella caro-
tide a Pellegrino Rossi (1787 +1848. Insigne economista e criminale, cel. diplomatico e
statista. Ministro di Pio IX; tentò riordinare le finanze, e represse l’anarchia, eccitando, co-
sì, l’odio dei fanatici, che armarono il braccio di Gigi Brunetti. N.d.c.); era giovane, amava
la patria ed era invasato dall’idea che il R. potesse comprometterne le sorti: perciò
l’aveva ucciso. Allora gli parve un fatto eroico e, nella, ritirata, un delitto. Ciceruac-
chio, respinto sopra Magnavacca dalle cannonate austriache, si diresse, con pochi
compagni, dalla parte opposta di Garibaldi. Fu arrestato coi suoi a Ca’ Tiepolo e
senza indugi, fucilato con tutti, compreso il ragazzo che era fra i 10 e i 15 anni. E
Luigi? Il giovane malinconico? Non c’è nella lista dei fucilati. Gli storici, che non
sempre sono psicologi, dicono che Luigi Brunetti aveva le sue buone ragioni di non
palesare il suo nome. Ma, dico io, che gli avrebbero fatto se avessero detto il suo no-
me? Non più di fucilarlo! Dico, piuttosto, che egli non volle morire col suo nome
per un supremo omaggio alla virtù; egli forse pensò: – Col mio nome, fucilerete un
micidiale; senza nome, un compagno di Garibaldi: un eroe! –
(N.B. Gli iscritti al 2° corso hanno l’ obbligo di fare le esercitazioni di italiano (temi, correzio-
ne dei medesimi, commenti di prose e poesie) raccolte in altre dispense e richieste all’esame)
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