Page 204 - Lezioni di Letteratura Italiana
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dopo raccontò che il purissimo Mazzini aveva armato un sicario per uccidere C. Al-
berto. E costui, che aveva tentato Mazzini, tacque, s’intende, il nome dell’esecuto-
re possibile o probabile dell’omicida. Era un certo Gallenga. Mazzini, però, lo sma-
scherò e costui dovette dimettersi dal partito monarchico cui era passato e da altre
cariche e ritirarsi dalla vita pubblica. Nonostante l'inimicizia fra C. Alberto e Maz-
zini, quando C. Alberto inalberò il vessillo tricolore, Mazzini si riconciliò con lui e
gli scrisse.
Così si spiega Garibaldi con Pio nono e il suo grido: - Italia e V. Emanuele. -
Non c’erano dissidi personali tra loro, avanti il bene supremo: l’ideale di patria. Un
fatto che prova luminosamente la generosità con cui l’Italia si mise in questa sua im-
presa legittima di libertà e indipendenza è quello del 30 aprile 1845, quando la Re-
pubblica Francese mosse da Civitavecchia contro la Repubblica Romana. Ma veglia-
va Garibaldi, che respinse i Francesi e ne fece 300 prigionieri, che furono condotti
a Roma e quivi, abbracciati ai militi italiani, si videro girare per la città ammirando
i monumenti e le chiese. E nella basilica S. Pietro, Quirico Filopanti, vostro compa-
triotta, (1812-1894. Nato a Budrio di Bologna; patriotta e celebre scienziato, professore di
meccanica razionale all’Università di Bologna. Fu segretario del Triumvirato Romano nel
1849; seguì Garibaldi nel Trentino e a Mentana e fu deputato di sinistra. Mente vasta e po-
tente, ingegno fecondo e universale. Morì, rara avis, povero allo spedale di Bologna. N.d.c.)
Ebbe solenni parole per quel Dio che in ogni religione si mostra e per la fratellanza
degli uomini che in ogni avvenimento si trova. I Francesi non furono troppo grati
di quell’accoglienza; e dopo aver molto lusingato e illusi i Triumviri di Roma, ag-
gredirono il 3 giugno, di nuovo, la Repubblica prima del tempo stabilito e dopo un
mese di lotta e di assalti e di bombardamenti l’ebbero in potere. Ma la bontà italiana
si dimostrò egualmente col suo più fulgido raggio. E non ostante Aspromonte, vo-
luto dal Sire dei Francesi, e Mentana, opera speciale, quest’ultima, degli chassepots,
Garibaldi fece la sua ultima e gloriosa compagna in favore della Francia (Les chasse-
pots ont fait merveilles, frase del generale De Failly che con undicimila Francesi, armati dei
terribili fucili ad ago a tiro rapido, esperimentati allora, per la prima volta, contro petti ita-
liani, sconfiggeva, il 3 nov. 1867, Garibaldi, che aveva fugati, nello stesso giorno, gli zuavi
papalini N.d.c.)
Garibaldi è come la personificazione del popolo italiano di quei tempi.
La sua generosità, che si spingeva fino all’imprudenza più assoluta, è esemplifica-
ta in mille modi. Basta ricordare l’imbarco, nella notte, fra l’uno e il due agosto
1849, a Cesenatico. Quei suoi poveri duecento garibaldini, circondati e insegui-
ti da migliaia di Austriaci, arrivarono, a notte, a Cesenatico. Vegliavano sette od
otto croati in una bettola fumosa e alcuni finanzieri. I Garibaldini pigliarono gli
uni e gli altri e li serrarono. Però, il capo dei finanzieri, certo Sereni, era uomo da
non fidarsi. I soldati e gli ufficiali di Garibaldi, avvezzi alle maniere spiccie, voleva-
no sopprimerli, non sapendo dove lasciare codesta gente, che poteva avvertire gli
Austriaci, poco lontani; e Garibaldi, d’altra parte avendo bisogno di sette od ot-
to ore per mettere in mare i bragozzi e dirigersi verso Venezia; e del resto le leggi di
guerra volevano la fucilazione. Ma Garibaldi disse: - Prendetelo con voi, il Sereni-
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