Page 202 - Lezioni di Letteratura Italiana
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«Che volete?» «Vi abbiamo veduto malinconico d’un tratto. Non sapemmo inda-
gare il motivo. Taluno sospettò foste malato senza accennarlo. E cotesto c’impensie-
riva. Avete bisogno di qualcosa?» Non rispose. Mi guardò fisso e, dopo una pausa,
parlò come se a se medesimo: «Povero giovane! Nato ai piedi di un trono… e forse
non per colpa sua… sbalzatone lontano!... Proverà anche egli lo amaro dell’esilio…
Senza preparazioni!» «Non è che questo?» «E vi par poco!» «Ma voi andaste a
Marsala…» «Era il dovere di noi tutti l’andarvi. Altrimenti, come poteva essere una
l’ Italia?» Escii di quella stanza-santuario coll’animo commosso. Pareami che Dio
mi avesse parlato per la sua bocca. La parola e il pensiero impallidiscono, si raffred-
dano e muoiono come ogni cosa umana. Vorrei che il mio stile oprasse il miracolo di
dar vita eterna a quella scena su queste povere carte. Oh! Il cor grande di quest’ uo-
mo!... Quando, subito dopo, io narrai agli amici la conversazione avuta, tutti ne stu-
pirono all’ infuori di Fruscianti. Il quale disse: «A me non fa nessuna specie. Il Ge-
nerale è tal uomo che se Antonelli, Francesco II, Pio IX fossero poveri e senza asilo,
egli non solo li ricovererebbe in Caprera, ma cederebbe loro la sua camera e il letto!»
Di che parlava? Di Francesco II, re di Napoli, la cui espulsione dal Regno
delle Due Sicilie egli stesso principalmente aveva operato. E gli aveva fatto com-
passione, perché anche Garibaldi aveva patito l’ esilio e come! Pure gli faceva pietà
Franceschiello, che andava in esilio con grande corteo di cortigiani e buona dose di
milioni. E riteneva migliore la sua condizione di esiliato di una volta appetto a quel-
la di Francesco. Egli aveva la più soave compassione per quelli che nell’ impresa ave-
vano dovuto subire qualche male. Questa onda d’ amore nella nostra Rivoluzione,
questo spirito di sacrificio, questo bisogno di credere, di discredersi, di perdonare, di
riconciliarsi, spiegano a noi certi trapassi: Mazzini che scrive a Carlo Alberto, a Pio
nono, Garibaldi che offre la sua legione a Pio nono; Garibaldi e Vittorio Emanue-
le dopo Aspromonte, nel ’64, nel ’66, dopo Mentana… Erano movimenti subitanei
che facevano dimenticare pregiudizi, idee politiche, tutto e facevano dire a Garibal-
di: «Pio nono ama l’Italia e corro da lui» - Carlo Alberto, o i suoi tribunali, aveva-
no condannato a morte Mazzini. Ai suoi governatori egli aveva detto: - Se vengono
arrestati dei borghesi e si trovano colpevoli, fucilateli in ventiquattr’ ore senza altri
ordini miei. - Per il solito, nelle sommosse, mirava specialmente ai borghesi, è cosa
strana, perché si puniscono piuttosto i militari, che mancano, in tal caso, a uno spe-
ciale giuramento. Ma in quei borghesi, forse, egli mirava al giovane genovese, che
aveva cominciato a dargli noia. Quanto a Mazzini, la cui vita è la più pura che si pos-
sa immaginare, ha una cosa che si volle rimproverargli. A uno che gli si offerse di uc-
cidere C. Alberto, egli, benché non fosse disposto all’ omicidio politico, pure, aven-
do avuto tanti amici vittime dell’ odio politico, fra cui Jacopo Ruffini, (coi fratelli
Giovanni e Agostino tentò liberare Mazzini (1813) dal forte di Savona. Imprigio-
nato si suicidò. 1805 + 1833. N.d.c.) finì col dire: -Se la vostra coscienza ve lo dice,
fate. - E quegli che s’ era profferito volle un’ arma. E Mazzini gl’ indicò un pugnalet-
to col manico di lapislazzuli. Costui lo prese e non ne fece nulla. Solo qualche anno
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